Sussidiare la poesia?

Un testo di Philip Larkin a cent’anni dalla nascita


Oggi ricorre il centesimo anniversario della nascita di Philip Larkin (1922-1985). Larkin è stato uno dei massimi poeti di lingua inglese del ventesimo secolo. Negli ultimi anni, le sue idee politiche, schiettamente conservatrici, ne hanno fatto una figura controversa, in patria e all’estero. Ai suoi lettori resta l’ammirazione per la grandezza poetica e intellettuale. Bibliotecario di mestiere, schivo, insofferente verso il jet set letterario, tutta la vita di Larkin ci dice del suo desiderio di essere giudicato per quel che scriveva: non per amicizie o relazioni.

La grande poesia, come la grande letteratura, parla a tutti, indipendentemente dalle opinioni di chi la scrive. Ci piace però proporre, per ricordare a nostro modo Larkin, il testo di una conferenza che tenne il 20 aprile 1976, quando gli venne conferito ad Amburgo lo Shakespeare Prize. In queste poche pagine, intitolate “Sussidiare la poesia?”, Larkin riflette sugli effetti del sostenere con denaro pubblico l’arte e la poesia. Si tratta di considerazioni talora impressionistiche, ma di grande interesse anche per i nostri tempi.

Una persona mossa da apparente buon senso potrebbe affermare: «Se la poesia è una buona cosa, allora facciamo in modo che quante più persone ne abbiano quanta più possibile». L’arte e la cultura sono in effetti spesso visti come un “bene meritorio”. Ma quali sono le conseguenze dei sussidi alla “produzione”? Larkin illustra alcuni degli effetti collaterali degli “aiuti” alla poesia. Tra gli altri, data l’occasione, nella parte conclusiva del suo intervento utilizza l’esempio di Shakespeare e del rapporto fra poeta e pubblico: come sarebbero state le sue opere se non avessero dovuto incontrare l’apprezzamento del pubblico? La “lotta” di un poeta è con le parole e con il pubblico, e solo grazie a tali “scontri” e confronti emerge, come sostiene Larkin, un qualcosa di vitale e di significativo.

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