Tutti per uno: La socializzazione delle perdite di Roma Capitale

La classe amministrativa e politica della città continua a non essere chiamata a rendere conto della propria gestione


8 Aprile 2019

Argomenti / Politiche pubbliche

Rocco Todero

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Dal 2010, Roma Capitale riceve uno stanziamento annuale di 500 milioni di euro, di cui 300 interamente a carico del bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e 200 milioni da reperire (sempre annualmente) per mezzo di un’addizionale commissariale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma e da un incremento dell’addizionale comunale IRPEF dello 0,4%. È facile verificare come il 60% delle passività accertate in capo a Roma Capitale sia stato accollato all’intera comunità nazionale in via diretta e come, della restante parte, un’altra rilevante quota sia stata posta addosso ad un’indifferenziata comunità di consumatori di servizi aeroportuali, residuando in capo ai romani la ben poca partecipazione dell’aumento dell’addizionale comunale».

All’interno di questo scenario, dovrebbe inserirsi l’annunciata norma inserita nel decreto legge “crescita” che, a leggere le notizie stampa e le dichiarazioni del sindaco Virginia Raggi e del viceministro dell’economia Laura Castelli, porrebbe termine alla gestione commissariale.
Stando a qualche dichiarazione a mezzo stampa più dettagliata da parte di esponenti di Governo, sembrerebbe che l’intervento normativo avrà l’obiettivo di eliminare il già lieve apporto che i residenti all’interno del Comune di Roma facevano confluire allo stanziamento di 200 milioni di euro. Tuttavia, sarebbe stata utile una riflessione sulla permanente validità delle ragioni che hanno giustificato, oramai otto anni addietro, la specialità della disciplina redatta per Roma Capitale e che hanno determinato l’accollo in capo ad incolpevoli contribuenti delle stratosferiche passività contratte per le ragioni più disparate.

Parimenti, non sarebbe dovuta mancare, ancora, una riflessione sul differente trattamento di favore di cui hanno goduto i creditori di Roma Capitale rispetto a quelli di qualsiasi altro ente locale italiano; né un’analisi della reale rilevanza costituzionale dell’interesse a soddisfare in ogni caso e interamente questa categoria di soggetti rispetto ai loro omologhi sparsi nel territorio nazionale che subiscono, il più delle volte, una decurtazione consistente dei crediti vantati.

Non si può tacere, infine, dell’effetto deresponsabilizzante che la legislazione speciale ha prodotto tanto in capo ai residenti nel Comune di Roma, quanto e soprattutto, nei confronti della classe politica che ha causato questo disastro economico ed ha tollerato l’incredibile inefficienza amministrativa di una burocrazia che non è ancora oggi in grado di offrire una ricognizione puntuale e certa delle masse attive e passive.

In conclusione, l’omessa dichiarazione del dissesto finanziario ha fatto sì che gli elettori romani, esentati dall’obbligo di subire in via esclusiva le conseguenze nefaste del default, non abbiano ragionevolmente avuto interesse ad indagare sulle responsabilità politiche di quanto sin qui narrato, confortati dalla peggiore delle strumentalizzazioni della solidarietà nazionale, e che, dunque, la classe amministrativa e politica della città, di qualsiasi fazione sia, continui a non essere chiamata a rendere conto della gestione dei servizi e dei beni di Roma Capitale.

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