Fisco più giusto con la flat tax

Una replica a Romano Prodi

10 Luglio 2017

Il Messaggero

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Caro Direttore, per Romano Prodi parlare di “flat tax” consentirebbe almeno di «confrontarsi».

Un confronto «concreto su crescita e giustizia sociale». Sarebbe però auspicabile che questo confronto concreto lo fosse davvero. Commentando le diverse ipotesi di “flat tax” nel dibattito politico, ma riferendosi in realtà alla proposta dell’Istituto “Bruno Leoni”, il Presidente Prodi sostiene che sarebbe «immorale che la stessa aliquota venga applicata a chi guadagna ventimila euro e a chi ne guadagna due milioni». Gli argomenti a favore dell’aliquota unica, incluso quello della semplificazione, sarebbero solo fumisterie. Prova ne sia che all’aliquota unica ci si riferisce chiamandola “flat tax”, in inglese, lingua riservata alle «proposte miracolose».

Chiamiamola tassa piatta, allora. E’ vero, come scrive il Presidente Prodi, che nessun Paese occidentale ha ancora adottato una tassa piatta. Non è necessario però avere la vasta esperienza di governo del Presidente Prodi per comprendere quanto complicato sia perseguire una autentica riforma del sistema fiscale. Non è un caso se l’adozione della “flat tax” (ricorriamo all’inglese, sia chiaro solo per evitare la ripetizione) è avvenuta invece in molti dei Paesi che uscivano dal comunismo (quali Estonia, Lituania, Serbia, Ungheria). Le condizioni politiche richiedevano e consentivano un cambiamento radicale. E’ evidente che smantellare il complesso sistema delle “tax expenditures”, che sono il più delle volte altrettanti “regali” concessi dai governanti pro tempore a un gruppo d’interesse oppure a un altro, è possibile solo in situazioni talmente gravi e difficili che il potere di veto delle lobby può finalmente essere superato in nome dell’interesse generale.

Forse la situazione italiana comincia ad avvicinarsi a questo scenario. Il nostro Paese ha tassi di crescita molto bassi da troppo tempo. Le nostre finanze pubbliche sono perennemente sotto stress. Si sente spesso dire che il nostro Paese ha bisogno di un cambio di rotta. Pensiamo che questo cambio di rotta non possa rincorrere ancora una volta a una salvifica “flessibilità”. Ma riscoprire la necessità di riforme chiare e incisive: in una logica che non è molto diversa da quella che animò il governo retto dal Presidente Prodi fra il 1996 e il 1998. La proposta dell’Istituto “Bruno Leoni” si basa su due pilastri: un’aliquota unica al 25% e un “minimo vitale”.

Non ci siamo inventati nulla: si tratta di un’idea cara a pensatori molto diversi quali Milton Friedman e Anthony Atkinson. Abbiamo cercato, però, di stimare l’impegno necessario per realizzarla (27 miliardi) e gli effetti concreti per le diverse tipologie di contribuente (che è possibile verificare sul sito www.25xtutti.it). Sarebbe un regalo ai ricchi? I numeri non lo suggeriscono. Sarebbe, in primo luogo, un modo per sostenere il reddito di molte famiglie che il nostro sistema assistenziale dimentica. Sarebbe, in secondo luogo, un modo per evitare che, come oggi, la progressività sia sperimentata prevalentemente da lavoratori dipendenti e pensionati appartenenti ad una ristretta fascia di reddito (e certo non la più elevata). Dopo di che, se si abbatte la pressione fiscale di quattro punti è del tutto naturale che ne traggano vantaggio anche i contribuenti a reddito più elevato.

All’argomento “morale” del Presidente Prodi, potremmo infine rispondere che ci sembra meno ipocrita far sì che le persone più abbienti paghino per i servizi pubblici di cui usufruiscono, che immaginare aliquote che rappresentano un forte disincentivo alla produttività. Crediamo però che la questione vera sia altra. Siamo proprio sicuri che un sistema fiscale enormemente complesso, quali che siano le aliquote, non sia di per sé stesso foriero di diseguaglianze, nello specifico diseguaglianze fra chi ha o può acquistare le competenze per utilizzare la complessità a proprio vantaggio e chi invece non può?

Siamo sicuri che questa diseguaglianza non sia particolarmente rilevante fra chi entra solo ora nel mondo del lavoro e dell’impresa, e chi invece gode di posizioni di rendita? Siamo sicuri, insomma, che la complessità non sia di per sé stessa un regalo per chi già è arrivato, e un freno per chi deve ancora cominciare la sua gara? Sono questioni concrete, sulle quali legittimamente ci si può dividere. Da che parte stiano conservazione e status quo, però, ci pare chiaro.

Da Il Messaggero, 10 Luglio 2017

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