Zaia, il Doge che sfiderà la maledizione storica del modello Nord-Est

Il Veneto da anni è una fucina di politici che però hanno faticato a imporsi anche a Roma

23 Settembre 2020

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Quello ricevuto da Luca Zaia è molto più di un incarico a governare la sua regione per altri cinque anni. Il risultato uscito dalle urne è talmente massiccio che siamo di fronte a un’investitura davvero impegnativa. Tra l’altro, quanti sottolineano che con i soli voti ottenuti dalla Lista Zaia una formazione nazionale disporrebbe già del 3% implicitamente rilevano che in tale voto vi sono potenzialità che potrebbero andare oltre i confini regionali.

Chi non conosce il Veneto può ritenere che l’esponente leghista sia stato apprezzato per la sua azione amministrativa. In parte è così, ma è ancora più vero che negli anni si è realizzata una sorta d’identificazione tra il governatore e la popolazione: un rapporto sempre più stretto e ora rafforzato dalla crisi sanitaria e dalla necessità di darvi risposte efficaci. E questo è stato possibile soprattutto in virtù del fatto che i veneti sentono più di altri la propria identità e si trovano a disagio in questa Italia prefettizia e giacobina.

Nel presidente uscente, allora, molti elettori hanno visto il Veneto stesso: quell’universo di memorie storiche e successi anche recenti (si pensi allo sviluppo impetuoso del cosiddetto Nord-Est) che ha prodotto una serie di fatti politici significativi. Anche se si tratta di figure ed esperienze molto diverse tra loro, è pur vero che esiste un fil rouge in grado di collegare Maurizio Fistarol (che fece di Belluno una specie di laboratorio) e il sindaco-filosofo Massimo Cacciari, i serenissimi del campanile di San Marco e l’avventura politica dell’editore Giorgio Panto, le partite Iva riunite dalla Life e quella spinta verso l’autogoverno che tre anni fa si concretizzò nel referendum per l’autonomia differenziata.

Da decenni il Veneto è inquieto e pretende che si avvii un processo di modernizzazione, anche politica, di questa Italia che resta sempre eguale a se stessa. Tra l’altro, è pure il nostro rapporto con il resto dell’Europa – si pensi alle condizioni poste per l’accesso al Recovery Fund – ad esigere che si apra la stagione delle «riforme», poiché solo con la responsabilizzazione dei centri di spesa sarà possibile rimettere in ordine i conti e migliorare la qualità dei servizi.

Sul tema delle trasformazioni istituzionali in Veneto le idee sono chiare e infatti, appena appresi i risultati delle urne, Zaia ha subito riparlato di autonomia. D’altra parte, la questione sta a cuore ai veneti ben al di là delle divisioni di partito, come conferma il fatto che hanno posto la questione dell’autogoverno pure due liste di sinistra: una alleata al candidato progressista Arturo Lorenzoni, «Sanca veneta», e l’altra a sostegno della candidata Simonetta Rubinato, «Veneto Rubinato».

Va ricordato che anche ai tempi di Bossi la Lega veneta non è mai del tutto diventata «nordista» (poiché ha sempre mantenuto un suo profilo regionale) e oggi fa ancora più fatica a dissolversi in un sovranismo italiano, utile a prendere i voti a Bari ma non a Vicenza. E infatti l’elettorato del Veneto non ha mai smesso di chiedere una riformulazione in senso federale del Paese.

Non è facile dire quali saranno nei mesi a venire gli obiettivi politici di Zaia, né è possibile immaginare come la Lega riuscirà a gestire un successo personale tanto imponente. È però doveroso attendersi che il Doge nato a Conegliano stavolta provi a fare del Veneto un modello: attribuendo a ogni realtà territoriale più ampia capacità di governo.

da Il Giornale, 23 settembre 2020

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