“Yes Minister”, la serie amata dalla Thatcher che svela la commedia della politica

La versione comica di "House of Cards" degli anni '80 sminuzza la meschinità dei potenti e sembra raccontare il programma di un qualsiasi governo europeo del 2016

11 Aprile 2016

Il Foglio

Massimiliano Trovato

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Un grande e trascurato pensatore contemporaneo, Anthony de Jasay, inaugura la sua opera più importante con quest’originale interrogativo: “Cosa fareste, se foste lo stato?”. A costo d’infilare qualche scorciatoia metodologica, l’economista di origine ungherese intendeva indagare la macchina statale come un’entità monolitica e dotata di fini propri. Per la maggior parte di noi, “essere lo stato” è una mera provocazione intellettuale – e, se fossimo chiamati a identificare lo stato con un individuo in carne e ossa, additeremmo pigramente il politico del momento.

Per Sir Humphrey Appleby, il forbitissimo civil servant di “Yes, Minister”, essere lo stato è una vocazione e una necessità: “Se le persone giuste non hanno il potere, ce l’avranno le persone sbagliate! Politici, consiglieri, elettori! […] La democrazia all’inglese riconosce che occorre un sistema per proteggere le cose importanti nella vita e tenerle lontano dalle mani dei barbari! […] E noi siamo quel sistema. Gestiamo una macchina governativa civilizzata e aristocratica, temperata da sporadiche elezioni”. Sir Humphrey deve, però, fare i conti con il nuovo ministro degli Affari amministrativi, Jim Hacker – il primo volume dei suoi “diari” è stato pubblicato in Italia dall’Istituto Bruno Leoni. Hacker ha l’entusiasmo dei novellini e un eccesso di progetti da mettere in moto. A Sir Humphrey, campione di supercazzola burocratese e di macchinazioni, il compito di disinnescarli. Ogni puntata della serie è una piccola tela di Penelope: il politico tesse energicamente, il burocrate pazientemente disfà. E lo “Yes, Minister” con cui Sir Humphrey suggella ciascun duello cela la sua vittoria (matematica) dietro un’acquiescenza di facciata.

“Yes, Minister” si può apprezzare come un videocorso accelerato di Public choice, la dottrina della politica non romanzata messa a punto da James Buchanan e Gordon Tullock: se riconosciamo che gl’individui perseguono interessi personali quando agiscono privatamente, è grottesco ipotizzare che si trasformino in paladini dell’interesse generale per il solo fatto di amministrare la cosa pubblica. Ogni scontro tra Jim Hacker e Sir Humphrey va dunque letto come lo scontro tra due interessi fondamentali e inconciliabili: quello del primo all’innalzamento della propria immagine pubblica e quello del secondo alla tutela gattopardesca dell’apparato burocratico. Altri prodotti si servono di questa visione realistica della politica: ma se “House of Cards” – è sempre qui che torniamo – la esaspera in chiave drammatica, “Yes, Minister” la sminuzza in chiave comica, mostrandoci i tic, le piccole paure, le distratte meschinità dei potenti: in altre parole, il lato cialtronesco della politica.

Questo racconto alimenta dubbi penetranti sulla riformabilità del sistema: la domanda d’innovazione politica si disperde in un’offerta destinata alla stagnazione. Scorrendo i dossier scoperchiati nella serie, troviamo temi – la trasparenza dell’azione governativa, la riduzione dei costi della politica, i rapporti burrascosi con Bruxelles, la sorveglianza generalizzata dei cittadini – che sembrano tratti dal programma di un qualsiasi governo europeo del 2016. Il problema è che, con tutti i limiti del sistema, il modo più efficace per liberarsi della cattiva politica sembra ancora passare per la politica un po’ meno cattiva.

L’ascesa di Jim Hacker s’intreccia, inevitabilmente, con quella di Margaret Thatcher. Abbozzata alla fine degli anni 70, ma rinviata a dopo le elezioni per il timore che un candidato permaloso si potesse rivalere sui fondi della BBC, la serie accompagnò la rivoluzione thatcheriana quasi per la sua intera traiettoria, debuttando nel 1980 e concludendosi nel 1988 con lo spin-off “Yes, Prime Minister”: grazie all’intercessione di Sir Humphrey, anche Jim Hacker era sbarcato al civico 10 di Downing Street.

La Lady di ferro non fece mai mistero del suo apprezzamento per la serie e, intervenendo a una cerimonia di premiazione dei due protagonisti, chiese e ottenne d’inscenare con loro un piccolo sketch, in cui esigeva dal suo gabinetto l’abolizione degli economisti. Pressato dall’insistenza della Thatcher, Sir Humphrey finiva per confessare di possedere una laurea in economia. E lei, compiaciuta: “Favoloso, allora sa già da dove cominciare”. Yes, Prime Minister.

Da Il Foglio, 11 aprile 2016

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