La mozione di censura alla Commissione europea è allo stesso tempo questione vecchia e nuova. Le prime mozioni votate da un Parlamento che non era ancora elettivo risalgono agli anni Settanta. L’avvento delle elezioni dirette nel ’79 ha portato a un graduale avvicinamento della procedura al significato delle mozioni di sfiducia tipiche delle forme di governo parlamentari. La Commissione Delors, a cui si deve un forte impulso all’integrazione europea, fu oggetto di tre votazioni. La Commissione Santer di due, una nel 1997 e una, a distanza di due anni, più delicata perché relativa alla procedura di chiusura del ciclo di bilancio. Nonostante il voto negativo, la Commissione si dimise due mesi dopo, nel marzo 1999, per evitare un terzo voto a seguito di accuse di corruzione a carico di uno dei commissari. Si è trattato della prima e unica volta in cui il confronto in Parlamento ha avuto un effetto di pressione tale da contribuire alla fine anticipata del ciclo istituzionale. A partire dal nuovo millennio, vi è stata una votazione di censura per ciascuna delle Commissioni Prodi, Barroso, Juncker e, ora, von der Leyen.
Le mozioni di sfiducia non sono quindi una eccezionalità nella prassi parlamentare europea. Il voto di ieri, tuttavia, ha un elemento di novità coerente con il graduale rafforzamento del potere politico di indirizzo dell’Unione europea e, collegato, della Commissione.
Anche la censura di ieri prende le mosse da una vicenda specifica, il cd. Pfizergate, tanto da essere stata presentata da un eurodeputato di estrema destra — Gheorghe Piperea — e appoggiata in prima battuta da altri europarlamentari provenienti dalla medesima ala, quella di fatto euroscettica anche e a maggior ragione a seguito della gestione della pandemia. Eppure, è stato il gruppo dei socialisti e democratici il più incerto, tra quelli che appoggiano la von der Leyen, se cogliere l’occasione e astenersi per dare un segnale di malcontento agli ammiccamenti del Ppe e della Presidente alle istanze di destra. Per citare solo uno degli ultimi casi che hanno generato malumori a sinistra, due settimane fa, von der Leyen annunciava, salvo poi ripensamenti, il ritiro della proposta sulla direttiva Green claims, con un evidente sgambetto ai socialisti.
Se la lettura della mozione votata ieri si fermasse qui, non ci sarebbe molto di nuovo: la censura, a prescindere dall’esito scontato, serve a sollecitare cambi di direzione ai margini e su specifici dossier, specie in vista del nuovo bilancio pluriennale.
C’è, tuttavia, un aspetto più sottile. Una delle cose che vengono rimproverate a von der Leyen è l’accentramento di potere, nelle mani sue e della Commissione. Si spiega così, tra i motivi della mozione, quello dell’uso scorretto della procedura di urgenza per il piano di difesa europeo, su cui il Parlamento ha già espresso formalmente le sue perplessità. Si tratta di una procedura utilizzata anche per il Next Generation EU (cioè per i Pnrr), che consente ai vertici esecutivi dell’Unione di ritagliarsi in via esclusiva un ruolo politico e operativo capace di oltrepassare le competenze proprie e le funzioni ordinarie. Ad essere stati messi sotto censura, quindi, non sono solo aspetti specifici o singole iniziative della Commissione, ma le modalità con cui questa sta progressivamente superando le rigidità dei trattati, nell’impossibilità politica di riformarli: iniziative per una legislazione sempre più direttamente applicabile, gestione di un debito comune, competenze e poteri afferrati tra mite procedure emergenziali, politicizzazione — anche mediatica — del proprio ruolo, accentramento interno in mano alla presidente.
L’Unione europea non è uno Stato, ma questa Commissione spinge per prendere le fattezze di un governo nazionale. Può avere dalla sua parte tutte le ragioni politiche e geopolitiche, come si usa dire di questi tempi. Ma, specie di fronte al Parlamento europeo, non può nasconderle dietro a forzature istituzionali capaci di generare una politica europea più forte sì, ma tecnicamente irresponsabile. La presidente del gruppo socialista, Iratxe García Pérez, e del gruppo di Renew, Valérie Hayer, hanno chiesto formalmente alla presidente Metsola di pretendere dalla Commissione il rispetto dei ruoli assegnati dai Trattati. Uomo, anzi, donna avvisata, mezza salvata.