Gli intellettuali e la libertà

Perché rileggere oggi il libro di Paolo Vita-Finzi pubblicato da IBL

28 Luglio 2023

La Ragione

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Desta un certo effetto leggere queste pagine, che fecero discutere all’epoca della loro prima pubblicazione e che oggi, a distanza di tanti anni e grazie a una nuova edizione, pongono quegli stessi problemi. Segno che il guasto allora indicato – puntando il dito anche su autori d’indubbio prestigio (come Pareto o Mosca) o che seppero ben riscattare talune titubanze (come Croce) – è fortemente radicato e si riproduce anche presso chi ignora quei precedenti.

L’autore, torinese nato nel 1899 e morto nel 1986, è stato precoce nel manifestare la passione pubblicistica (nel 1927 pubblicò una spassosa “Antologia apocrifa”, mescolando falsi e veri testi, che assai dopo suscitò l’entusiasmo di Umberto Eco), ma nel 1924 vince il concorso per la carriera diplomatica e trasporta quella sua vocazione nella descrizione dettagliata delle situazioni e dei Paesi in cui si trova a operare.

Questo libro, scritto in età matura, è dedicato a una questione specifica: quanto gli intellettuali culturalmente attrezzati – e che si possono ben definire amanti della libertà – si esercitarono nel descrivere i difetti della democrazia, finendo così con lo spianare la strada alla dittatura. Il suo riferimento è, evidentemente, al passaggio dall’Italia liberale e giolittiana a quella fascista e mussoliniana, ma i processi mentali e culturali che descrive restano vivi anche nel nostro presente.

A cominciare, per esempio, dalla critica del parlamentarismo e del compromesso, accompagnata dall’idea che migliore sarebbe una democrazia capace di ricorrere in continuazione all’opinione popolare, secondo uno schema caro a Rousseau e che qualcosa dovrebbe dirci, nell’era in cui il nome del filosofo francese è divenuto quello di una piattaforma populista e, naturalmente, ingannevole. Ma, appunto, la trappola è sempre quella ed è sempre attiva.

Ecco perché queste “delusioni” faremmo bene a tenerle presenti , almeno per non riviverne le ripugnanti conseguenze. E Vita-Finzi lo sapeva bene, visto che anche lui ebbe la sua stagione d’infatuazione fascista: andò volontario a combattere in Spagna, con i fascisti e i franchisti, per poi dovere fuggire e rinunciare agli incarichi diplomatici italiani una volta approvate le leggi razziali, che lo individuavano come nemico in quanto ebreo.

Paolo Vita-Finzi, Le delusioni della libertà, a cura di Claudio Giunta, Torino, IBL Libri, 2023

da La Ragione, 28 luglio 2023

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