Un liberista dickensiano contro il capitalismo

Alberto Mingardi cura una raccolta di saggi di Thomas Hodgskin pubblicata da Liberilibri

28 Novembre 2014

Sette

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Teorico del sindacalismo radicale, ma anche irriducibile campione del mercato, l’inglese Thomas Hodgskin, di cui Liberilibri pubblica Crimine e Potere. Due lezioni londinesi (pp. 202,16 euro) con un’ampia introduzione d’Alberto Mingardi, fu «un giornalista politico» (come si direbbe oggi) in un mondo più semplice del nostro, quello della rivoluzione industriale in Inghilterra (e dell’«acciunulazione primitiva di capitale», secondo la formula marxista). Due sole opzioni: lo statalismo (burocrazia, controlli, un fisco incensurabile) e il suo contrario esatto, la libertà. Non c’è bisogno di dire da che parte stesse Hodgskin.

Autodidatta, personaggio dickensiano, classe 1787, Hodgskin esordì come polemista con un pamphlet contro la pratica del reclutamento forzoso nella Royal Navy, dove suo padre l’aveva arruolato a dodici anni. Uscito nel 1813, il pamphlet di questo ex tenente di vascello, cacciato dalla Marina per aver lasciato fuggire un prigioniero, gli aprì la strada del giornalismo militante. Hodgskin, sulle pagine dei giornali radicali, incrociò le armi con i difensori dei privilegi del parlamento, che «legiferavano nell’interesse della classe possidente e contro gl’interessi delle classi lavoratrici». Con Labour Defended Against the Claims of Capital, del 1925, prese le «difese del lavoro contro le pretese del capitale». Passò per socialista, ma non lo era.
Mingardi cita The People’s Science, di Noel Thompson: «Libero scambio, eliminazione del potere monopolistico, cessazione dell’interferenza dello Stato nella vita economica della nazione: queste politiche, che avrebbero compiaciuto il più fervido ammiratore di Adam Smith, erano anche le politiche sostenute da Hodgskin». Egli mosse, scrive Mingardi, «un atto d’accusa nei confronti dell’aristocrazia», che «si faceva ancora più netto nel momento in cui si chiedeva di dove venisse allo Stato tanta ingordigia». «Essa si doveva», capì Hodgskin, «all’espansione disordinata dei poteri pubblici, a spese eccessive, all’amore per gli onori e le inutili pomposità e in ultima analisi alla politica aristocratica per antonomasia: la guerra».

Nelle Lezioni londinesi Hodgskin indaga sui rapporti tra crimine e potere, e anche qui il suo giudizio è radicalmente ostile alle ragioni del potere: «Peggio dell’uomo che diede un sasso al figlio che chiedeva il pane, il governo toglie il pane a tutto il popolo». Hodgskin morì nel 1869, dimenticato da tutti, ma rimane un simbolo della sua epoca, quando destra e sinistra non avevano ancora scatenato le loro jihad e il giornalismo, che oggi tifa per una delle due vere religioni contro i bestemmiatori della fede nemica, non era ancora la «magia nera» messa a nudo da Karl Kraus, ma l’erede diretto della ragione illuminista.

Da Sette, 28 novembre 2014

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