Un'App sulla fiducia

La poca chiarezza di dati, scelte e valutazioni finora avuta e la confusione non aiutano

1 Maggio 2020

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche Teoria e scienze sociali

Di Immuni, l’app che aiuterà gli italiani a risalire ai contatti con persone contagiate da Covid-19, sappiamo ancora poco. In attesa della pubblicazione delle disposizioni attuative, sappiamo che è un’applicazione su telefonino utile ad avvisare le persone se nelle due settimane precedenti sono state vicino a una persona contagiata per un tempo e una distanza capaci di provocare il contagio, senza che sappia chi sia il caso confermato e viceversa. Sappiamo che è volontaria, che non tutti gli italiani la useranno perché non hanno uno smartphone o perché non vorranno usarla, che è complementare ai metodi di tracciamento tradizionale (carta, penna e intervista al contagiato), e che, naturalmente, dovrà necessariamente funzionare nei limiti di trattamento lecito dei dati: pseudonimizzazione, stretta finalità, necessità e temporaneità dell’uso dei dati e loro cancellazione al termine del periodo indicato.

Il Covid-19 ci ha catapultato velocemente in un mondo nuovo. Anche se i nostri dati sono sparsi ovunque e già oggi possono essere usati per sapere dove e con chi siamo in ogni preciso istante, un tracciamento generalizzato non era mai stato realizzato. Per questo, pur con le migliori intenzioni e accortezze, non è detto che l’app che funzioni.

Questioni tecniche a parte, la sua efficacia dipenderà in realtà più da quanto è fuori l’app che da quanto è dentro.

Dipenderà in primo dalle conseguenze giuridiche del suo funzionamento: cosa succede, quali obblighi nascono nel momento in cui si riceve un avviso sul telefonino? Al momento, le legge prevede che chi ha avuto stretti contatti con casi confermati di malattia è obbligato alla quarantena precauzionale. Bisognerà capire quindi se l’avviso sul telefonino sia di per sé una conferma di stretto contatto, o, viceversa, chi e come lo determinerà. Nella prima ipotesi, si rischia di generare un gravoso trattamento sanitario obbligatorio a carico di migliaia di persone magari sane: l’app potrebbe infatti mandare avvisi a pochissime come a moltissime persone anche in base alle condizioni di lavoro e di vita del contagiato. Nel secondo caso, le Asl e i medici dovranno attivarsi immediatamente, i test dovranno essere subito effettuati e i risultati prontamente disponibili. Una volta in quarantena, poi, servirà personale per assistere e fare le opportune verifiche.

In un paese in cui si fa fatica ad avere le mascherine specie dopo che gran parte della distribuzione è stata posta sotto la responsabilità della protezione civile e in cui è stata farraginosa la fase di testing e controllo delle quarantene domiciliari anche nelle regioni meno colpite, le perplessità poggiano sulle fasi a valle del tracing algoritmico, piuttosto che sulla app. Ancor prima delle lecite perplessità sul bilanciamento con i diritti inerenti la sfera di riservatezza, è probabile che saranno quelle relative alla capacità gestionale di ciò che viene dopo l’allerta sul telefonino a far decidere alle persone se scaricare l’app sui loro telefonini.

La fiducia nelle istituzioni politiche e burocratiche sarà determinante. Considerando la poca chiarezza di dati, scelte e valutazioni finora avuta e la confusione finora vista, non è affatto scontato che vi sarà.

1 maggio 2020

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