16 Maggio 2025
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’ultima sentenza del tribunale dell’Unione europea, che ha dato ragione al “New York Times” e sanzionato il comportamento di Ursula von der Leyen, rappresenta un passaggio importante. Con questa decisione è ormai certificato come l’intera Unione soffra di una cronica mancanza di trasparenza e come l’emergere di posizioni nazionaliste sia da leggere alla luce di tutto ciò.
La vicenda presa in esame dalla corte è quella, ben nota, dei messaggini telefonici che la presidente della Commissione scambiò con Albert Bourla (il Ceo della Pfizer) nella fase in cui l’Europa si apprestava a investire decine di miliardi di euro nei vaccini. Successivamente il “New York Times” chiese di avere accesso a quelle comunicazioni, ma l’altera signora tedesca che si trova ai vertici delle istituzioni comunitarie respinse quella richiesta.
Ora il tribunale comunitario ha detto a chiare lettere che quel rifiuto era illegittimo e che quanti amministrano l’Unione (e la von der Leyen non fa eccezione) sono tenuti a non ostacolare chi ha il compito d’informare il pubblico. L’Unione non è un’azienda privata, che legittimamente protegge procedure e informazioni: è un’istituzione pubblica che deve in ogni momento rispondere di quanto fa di fronte a ogni cittadino del Vecchio Continente.
È bene che il tribunale dia ragione al quotidiano statunitense ed esiga che i cittadini europei sappiano. Con ogni probabilità non succederà nulla egli eurocrati tireranno diritto, ma è importante sapere che c’è un giudice a Bruxelles.
Se le istituzioni politiche rappresentano sempre una (potenziale) fonte di abusi, corruzione e ingiustizie, questo è ancor più vero quando ci si trova ad avere a che fare con centri di potere tanto lontani, quasi irraggiungibili per il comune cittadino. Anche il sindaco di un piccolo centro può utilizzare a proprio favore o avantaggio degli amici la sua capacità di decidere, ma questo è infinitamente più vero quando si è alla testa di una realtà che governa centinaia di milioni di persone.
Nella circostanza presa in esame dalla corte gli europei avevano a che fare con un’emergenza che politici, burocrati e uomini d’affari seppero utilizzare a loro favore, come anche taluni episodi italiani (ci ricordiamo tutti i mitici banchi a rotelle…) hanno illustrato assai bene. Sarebbe stato molto meglio che ogni decisione fosse stata presa da realtà vicine ai cittadini, ma la logica del ceto politico si muove proprio in direzione opposta.
Oltre a ciò, la vicenda dei contratti tra l’Unione europea e le aziende farmaceutiche rinvia a un problema più generale, che concerne la pretesa del ceto politico di muoversi nell’ombra, usando i più diversi pretesti, mentre al tempo stesso va moltiplicando la propria capacità di controllare da vicino quanto avviene ovunque.
In una società liberala logica è del tutto diversa, perché le istituzioni pubbliche dovrebbero essere “case di vetro” e le realtà private (individui, famiglie, imprese), al contrario, dovrebbero essere inaccessibili, dato che la privacy va rispettata al massimo grado. Purtroppo, in più di una circostanza, si ha la sensazione di andare nella direzione opposta.