UE, la mina delle tariffe interne e il rispetto dei trattati

La Commissione dovrebbe vigilare sull'applicazione delle norme comunitarie ma negli ultimi tempi non lo fa più, occupandosi di altre cose

30 Giugno 2025

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

Medice, cura te ipsum. La conseguenza non voluta, ma per ora più rilevante, del protezionismo trumpiano è stata farci capire che il protezionismo non ci conviene. Bisognerebbe fare un altro passo e comprendere che anche le restrizioni all’attività economica, tutto ciò che insomma rende più improbabile che alcune transazioni possano avere luogo, riduce la velocità di crociera della nostra economia, anche sedi restrizioni nazionali o europee si tratta. Mario Draghi ha parlato, a questo proposito, dei «dazi interni» dell’Unione europea. Si usa spesso la formula «completare il mercato unico». Molti restano perplessi: l’Europa non è già un mercato unico? L’economista Luis Garicano (ora alla London School of Economics) ha affrontato la questione sul suo blog. Non ci sono dazi, ovviamente, fra Francia e Irlanda o fra Italia e Portogallo, e questo già non è poco. I Paesi che hanno l’euro godono poi di un altro vantaggio: dal momento che utilizzano la stessa moneta, `iene più facile alla persone (che siano in viaggio per turismo o affari o che abbiano un’attività o la famiglia in un altro Stato dell’eurozona) valutare dove acquistare un certo bene o servizio. Eppure, «il commercio effettivo tra i Paesi dell’UE è meno della metà di quello tra gli stati che compongono gli Stati Uniti».

Perché? L’Unione europea non è stata disegnata proprio per consentire scambi più agevoli fra i Paesi membri? Garicano fornisce tre risposte. Primo, il principio di mutuo riconoscimento non viene applicato. Secondo, le direttive europee «armonizzano» assai meno di quanto parrebbe Terzo, la Commissione europea, che avrebbe il compito di sanzionare le violazioni del mercato unico, non lo fa.

Il mutuo riconoscimento poggia sulla storica sentenza Cassis de Dijon, del 1979. I tedeschi sostenevano che un liquore per essere tale dovesse avere almeno i125% di alcool. Il Cassis de Dijon francese ne conteneva solo i115-20%. La Corte di Strasburgo stabilì che la Germania non poteva bloccarne le importazioni solo perché la bevanda usciva dal solco delle regole tedesche. Se un prodotto è coerente con le norme del Paese europeo in cui viene realizzato, può essere smerciato anche in tutti gli altri, persino dove leggi e regolamentazioni dicono qualcos’altro.

Se ci attenessimo rigorosamente al principio, il mercato unico esisterebbe e si accompagnerebbe anche a un’autentica competizione regolatoria: gli Stati potrebbero apprendere l’uno dall’altro come è meglio normare questa o quella produzione. Ma, ricorda Garicano, «la Danimarca ha bloccato alcuni cereali della Kellogg’s, perché l’aggiunta di ferro, calcio, acido folico e vitamina B6 “potrebbe essere tossica” per i bambini e le donne in gravidanza. Questi prodotti erano legali e ampiamente consumati in tutti gli altri Stati dell’Ue».

Non troppo diversamente, per trent’anni Spagna e Italia hanno combattuto «il Dairy Milk di Cadbury, impedendone la vendita a meno che non portasse l’etichetta stigmatizzante di “surrogato del cioccolato”, perché conteneva fino al 5% di grassi vegetali».

A questi problemi dovrebbe sopperire Bruxelles, «armonizzando» il diritto nei Paesi membri. Così recitano i libri di testo: se la soluzione liberale (il mutuo riconoscimento) si rivela insufficiente, allora bisogna ricorrere ai metodi forti del dirigismo. Che però aumentano la complessità normativa senza risolvere il problema. «In primo luogo — spiega Garicano — anziché sostituire le normative nazionali, le regole dell’UE si sovrappongono ad esse». Inoltre gli Stati, nel recepirle, si dedicano «all’aggiunta di ulteriori requisiti nazionali nell’attuazione delle direttive Ue».

Ci sarà un giudice a Bruxelles? Per l’articolo 17 del Trattato, la Commissione «vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati». Inoltre «vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea».

Per un certo periodo la Commissione l’ha fatto e noi tutti ricordiamo momenti di grande tensione, proprio su questo terreno di scontro, fra Bruxelles e Stati membri. Da qualche anno però la Commissione fa tante cose, molte più di prima, ma non fa più questa.

«A dicembre 2024, erano pendenti solo 658 casi di violazione del mercato unico, i16% in meno rispetto all’anno precedente e il 21% in meno rispetto al 2020. Nei dodici mesi precedenti, la Commissione ha aperto solo 173 nuovi casi, un quarto del volume gestito un decennio fa. La relazione annuale sull’applicazione delle norme per il 2023 indica solo 529 nuove procedure di infrazione in tutti i settori, in calo rispetto alle 1.347 del 2013. Un’analisi del Financial Times ha rilevato che le azioni formali per violazione del diritto dell’Ue avviate dalla Commissione contro i Paesi dell’Unione sono diminuite dell’80% nei primi tre anni della Commissione Von der Leyen».

La Commissione Von der Leyen è uscita spesso dagli argini dei trattati. Parte della sua narrazione è proprio che l’Europa è altra cosa (deve per esempio occuparsi di politica internazionale e di difesa, che nessuno le ha delegato) rispetto all’Europa che i trattati e le prassi dei precedenti trent’anni hanno disegnato.

Può essere credibile, questa Commissione, nel «rimuovere i dazi interni»? E’ improbabile. Il fatto di non curarsi del libero scambio intra-Ue non è solo una questione ideologica. E’ anche il frutto delle pressioni dei gruppi di interesse. Che possono minare anche i trattati di libero scambio con altri Paesi.

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