Trivelle, Shell fugge dall'Italia

La multinazionale rinuncia a cercare petrolio nel mar Ionio: colpa di incertezze, burocrazia e del referendum voluto dai governatori rossi

22 Febbraio 2016

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nelle scorse ore la Shell ha deciso di mollare e ha informato il governo italiano di avere ormai accantonato il proprio piano di due miliardi di investimenti al Sud. L’intenzione era di avviare ricerche importanti per estrarre petrolio al largo del mar Jonio (non lontano dalle coste di Puglia, Basilicata e Calabria), ma ora quelle risorse verranno destinate in altre aree: forse nel golfo Persico. Il motivo è che l’annunciato referendum sulle trivellazioni petrolifere, dopo che già la legge di Stabilità aveva bloccato ogni lavoro entro 12 chilometri dalla costa, crea una situazione d’incertezza che impedisce all’azienda anglo-olandese di mantenere in vita un investimento del genere.

Sul piano politico, è un fallimento di Matteo Renzi, che si è sempre rappresentato come un leader capace di usare le truppe cammellate del Pd per gestire una politica moderata, capace di favorire la crescita. E invece si è arrivati a questo disastro al termine di un percorso che ha preso l’avvio con una raccolta di 500 mila firme (fallita) promossa da Pippo Civati, cui ha fatto seguito un accordo tra varie regioni prevalentemente del Sud che hanno predisposto una serie di referendum per lo più bocciati dalla Cassazione. Uno è comunque rimasto in piedi e il 19 gennaio è stato giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale. L’ultimo atto si è avuto questa settimana, quando il presidente Mattarella ha firmato il decreto che indice il voto popolare.

Quali sono le regioni che, avvalendosi dell’articolo 75 della costituzione, hanno promosso la consultazione sul tema? L’elenco è il seguente: Abruzzo (che però in un secondo tempo si è tirato indietro), Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. Sette regioni sono di centrosinistra e due sono di centro destra, ma sono tutte dello stesso colore del premier proprio quelle del Mezzogiorno, che ora vedono andare altrove quegli investimenti. Nell’insieme, siamo Bifronte a una sconfitta del buon senso e alla prova che mancando il diritto l’Italia non è un luogo ospitale per le imprese. In effetti, chi vuole realizzare un qualsivoglia progetto industriale specialmente se ambizioso necessita di un ordine giuridico stabile. Dovendo sviluppare piani decennali, ha bisogno di sapere entro quali regole si troverà a operare nel corso del tempo. Questo è però impossibile quando il sistema legale viene sconvolto dalla politica a ogni mutar di fronde e sulla base di spinte demagogiche. Oggi il diritto è esposto a qualunque arbitrio e di conseguenza nessuno sa bene cosa può e non può fare. E in tal modo trionfano le superstizioni di quanti demonizzano questo o quell’aspetto della modernità industriale.

In particolare, il quesito rimasto in piedi (su cui si voterà il 17 aprile) concerne la durata delle autorizzazioni già concesse per gli studi e le trivellazioni dei giacimenti in mare. I promotori del quesito vogliono che le trivellazioni non restino in vita fino a quando il giacimento lo consente, ma invece abbiano una scadenza definita. E per giunta si voterà solo su quello, perché il governo non ha voluto un election day con lo scopo (è facile capirlo) di far mancare il quorum e far bocciare l’iniziativa.

Nel frattempo, però, la Shell ha già bocciato l’Italia e il suo governo.

Da Il Giornale, 21 febbraio 2016

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