Trent’anni fa il referendum: sfida fra politica e tv private. E gli italiani votarono Silvio

La storia della televisione privata in Italia attraverso la battaglia del referendum del 1995 quando gli italiano scelsero di poter scegliere

19 Giugno 2025

QN – Quotidiano Nazionale

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Pubblichiamo uno stralcio del capitolo conclusivo di ‘Meglio poter scegliere. I referendum del 1995 e la battaglia per la televisione commerciale‘ (Milano, Mondadori, pp. 420, euro 22) di Alberto Mingardi, uscito nei giorni scorsi. Traccia una storia della televisione privata in Italia fino al referendum che, l’11 giugno di trent’anni fa, decise il destino delle reti Mediaset e indirettamente quello politico di Silvio Berlusconi.


Per anni, anche prima della di scesa in campo, la Fininvest era stata al centro delle attenzioni della politica, suo malgrado. Da una parte c’erano Canale 5, Italia 1 e Rete 4, con i loro programmi e con i loro film. Dall’altra c’era il racconto che ne facevano partiti e giornali, a cominciare dall’amicizia fra Berlusconi e Craxi.

Con la nascita di Forza Italia, tutti vedono l’azienda farsi partito. Ma sull’altro binario, quello televisivo, la vita della Fininvest continua come sempre. Serve, per paradosso, che l’azienda venga, esplicitamente, portata innanzi agli elettori perché ne emerga di nuovo e chiaramente la dimensione imprenditoriale.

I tre quesiti referendari possono essere stati pensati per mettere in difficoltà Berlusconi, ma metterebbero in ginocchio un’impresa che è qualcosa d’altro e di più del suo proprietario. L’azienda ormai è qualcosa di più del suo fondatore: non solo per i 4000 posti di lavoro che sono in gioco (e che il fronte del no getterà sul piatto ogni volta che può), ma soprattutto per come Canale 5, Italia 1 e Rete 4 hanno cambiato la vita degli italiani. Per un anno, Fininvest è stata ricoperta di ogni genere di contumelie dagli avversari politici di Berlusconi. Enough is enough.

La Fininvest, dunque, si mette in primo piano. Tra febbraio e marzo va in onda uno spot che, dopo una carrellata di immagini dei programmi trasmessi in quindici anni di attività da Canale 5, Italia 1 e Rete 4, si chiude con una dissolvenza accompagnata dalla comparsa della scritta: «Canale 5, Italia 1 e Rete 4, meglio che ci siano, meglio poter scegliere».

In campagna elettorale, il cuore della discussione è il quesito sulla pubblicità, quello che gli avversari pensano di usare per «trainare» l’elettore sugli altri due. Un cartoon disegnato da Bruno Bozzetto ricorda che chi preferisce vedere un film senza interruzioni, o con una soltanto, lo può già fare tranquillamente: al cinema o con l’home video, noleggiando o acquistando una videocassetta (per un ipotetico lettore senza capelli grigi: erano gli antenati di Netflix, ma su supporto fisico, fatto di piccole bobine). In quel caso si pagava in denaro e non solo in tempo. I lavoratori Fininvest formano un proprio Comitato per il no, che comprende alcuni iscritti alla Cgil e persino qualche elettore di Rifondazione, il che non manca di suscitare un po’ d’imbarazzo. II Comitato rivendica la sua indipendenza dall’azienda (non difendiamo la proprietà, ma i posti di lavoro) e sottolinea che «tremila firme non si raccolgono se non c’è un sentire comune fra i lavoratori». Cisl e Uil lombarde li appoggiano.

Le polemiche si concentrano sui messaggi pubblicitari: il loro numero, la loro collocazione e, soprattutto, la creatività del marketing del Biscione. Alcune città rifiutano le affissioni sui tram di messaggi pro-televisioni private. Durante la campagna per le amministrative gli spot (i ballottaggi si tengono a maggio) non si possono trasmettere, e non ne vanno in onda. II Comitato per il no, però, prende gli avversari in contropiede. II 30 aprile si corre il Gran Premio di Imola e fra i cartelli parcheggiati a bordo pista ci sono alcuni messaggi del no, inquadrati mentre le monoposto sfrecciano verso il traguardo.

Il 9 giugno su Rai 1, in prima serata, va in onda una «Tribuna Referendum», dove si alternano esponenti del sì e del no. Sui quesiti televisivi, le coppie sono Massimo D’Alema contro Iva Zanicchi; Sergio Mattarella contro Enrico Vanzina; Fausto Bertinotti contro Rita Dalla Chiesa.

Gli uomini politici tendono a parlare di massimi sistemi, Zanicchi, Vanzina e Dalla Chiesa restano sul tema del giorno, non allargano il campo. Zanicchi spiega che la concorrenza che c’è è quella fra i privati e la Rai, e che ha anche migliorato l’offerta di quest’ultima.

Domenica 11 giugno vanno a votare circa 28 milioni di persone. Oltre 15 milioni di persone votano no ai quesiti sulla Tv. L’azienda surclassa il partito-azienda: Forza Italia aveva preso 8 milioni di voti nel marzo 1994 e 10 a giugno, alle europee.

oggi, 21 Giugno 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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