Transizione, costi e vantaggi non sono gli stessi per tutti

Transizione energetica tra costi, disuguaglianze e scelte complesse: dove e come rischiamo di commettere errori

9 Dicembre 2025

L’Altravoce

Gianluca Cicinelli

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi IBL

Argomenti / Politiche pubbliche

La transizione energetica si intreccia sempre di più con guerre, sicurezza e prezzi dell’energia. Dopo la COP30 di Belém la domanda non è più solo quanto ridurre le emissioni, ma come farlo senza far saltare pezzi di economia e società. Ne abbiamo parlato con Carlo Stagnaro, economista dell’energia e direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, da anni impegnato sui temi del mercato elettrico, delle politiche climatiche e della sicurezza energetica.

Che legame c’è tra le guerre in corso e la transizione energetica?
«Sicuramente rispetto ad alcuni anni fa, quando soprattutto per l’Europa, non solo per l’Europa, la transizione energetica era in qualche maniera l’unica priorità, oggi ci sono anche altre priorità. A me non sembra che ci sia un legame diretto, nel senso di dire che facciamo la guerra e quindi non facciamo più la transizione energetica. Da un certo punto di vista è anche una fase di realismo necessario, nel senso che noi, soprattutto in Europa, abbiamo per lungo tempo considerato l’energia e il clima come una sorta di variabile indipendente, adesso abbiamo scoperto che non è una variabile indipendente».

Cosa ce l’ha fatto scoprire?
«L’abbiamo scoperto quando abbiamo dovuto affrontare la crisi energetica, facendo in parte azioni che erano favorevoli alla transizione, penso, ad esempio alle accelerazioni sulle rinnovabili, ma in parte anche azioni che andavano in senso contrario, perfino in Italia abbiamo massimizzato l’utilizzo delle centrali a carbone. E adesso il complicarsi dello scenario internazionale ci costringe a considerare altre variabili ancora e quindi ci costringe, quando dobbiamo scegliere come allocare un euro di spesa pubblica, a considerare che quell’euro deve soddisfare certamente l’esigenza della transizione ma anche altre esigenze, tra cui ovviamente quella della sicurezza».

Quindi non è un aut aut tra guerra e clima?
«Io non lo vedrei come una questione “mettiamo il clima in soffitta e occupiamoci solo di guerra”, piuttosto come una questione “il mondo è complicato e non possiamo occuparci di una cosa sola”».

Molti vivono la transizione come aumento di costi e incertezza. I più fragili rischiano di pagare di più?
«Secondo me dobbiamo un po’ smettere di raccontarci che con la transizione ci guadagnano tutti e non ci perde nessuno, è ovvio che quello è un cambiamento radicale della nostra economia e, soprattutto se vogliamo perseguirlo a tappe forzate come stiamo facendo in Europa, questo non può che produrre dei costi».

Quindi non c’è scelta?
«L’idea che questa cosa possa essere fatta senza costi e anzi con vantaggi non solo di natura ambientale è una cosa che ci siamo raccontati per molti anni e non è così e del resto, se fosse così, da un lato non ci sarebbe bisogno di obblighi, incentivi, tasse eccetera eccetera perché le cose succederebbero spontaneamente, nel senso che se esistesse un’alternativa reale tra tecnologie economiche e pulite e tecnologie costose e sporche non dovresti obbligare la gente a scegliere quelle che costano meno e inquinano meno».

Da dove si comincia, allora, per non scaricare i costi sui più deboli?
«Questo è un tema importante ma va spiegato. Il primo punto è capire e accettare che tutto questo ha dei costi e quindi non negare questi costi ma cercare di quantificarli e di fare in modo, come diceva lei, che non ricadano prevalentemente o esclusivamente sulle spalle dei più deboli. Noi in Italia abbiamo fatto esattamente l’opposto, nel senso che l’effetto di queste cose, per esempio l’incremento della tassazione sui combustibili fossili, si scarica principalmente sulle spalle delle famiglie a basso reddito».

Gli incentivi non hanno prodotto effetti?
«Noi diamo gli incentivi per la ristrutturazione degli edifici e a beneficiarne sono soprattutto le famiglie ad alto reddito, col doppio paradosso che quindi scarichiamo costi sui “poveri”, tra virgolette, e riduciamo quegli stessi costi in maniera più che proporzionale su chi invece potrebbe permetterseli. Questo è un tipo di approccio che va esaminato in maniera attenta».

Nucleare, intelligenza artificiale e data center: è uno scenario realistico per l’Europa e per l’Italia?
«A livello europeo io penso che sia impensabile raggiungere una neutralità carbonica senza nucleare, perché il nucleare ha delle caratteristiche di affidabilità, di continuità della produzione che sono indispensabili se vogliamo che il 100% dell’energia elettrica, o quasi, sia a emissioni zero. Naturalmente uno può decidere che non vuole il nucleare, ma allora deve accettare di tenersi una sostanziale quota di gas nei nostri sistemi elettrici, almeno nel futuro prevedibile».

No nucleare, no transizione?
«In Europa io credo sia impensabile fare la transizione senza il nucleare e c’è una crescente presa d’atto: l’abbiamo visto con la Tassonomia che riconosce per la prima volta il nucleare come fonte sostenibile. Un paese come l’Italia, sulla carta, avrebbe grandi benefici dal nucleare, soprattutto perché gran parte dei nostri consumi sono nel Nord del paese mentre gran parte del potenziale rinnovabile sta nel Centro-Sud. L’Italia ha però enormi problemi di capacità di creare un consenso su queste cose: si fatica a ottenere l’autorizzazione per mettere dei pannelli fotovoltaici, possiamo immaginare quanto sarebbe più difficile ottenere l’autorizzazione per mettere impianti nucleari».

La transizione è un’occasione per il mercato, ma richiede anche pianificazione e investimenti pubblici. Sbagliamo per troppa fiducia nei mercati?
«No, mi sembra che fiducia nei mercati non ne abbiamo per niente, tant’è che tutta questa, o gran parte della transizione, noi la stiamo pilotando attraverso incentivi, sussidi, tasse, divieti e quant’altro. Quello che serve, a mio avviso, è dare più fiducia ai mercati ma anche più chiarezza nella politica».

Anche nelle scelte tecnologiche?
«Più fiducia nei mercati vuol dire dare a tutte le soluzioni tecnologiche che consentono di ridurre le emissioni la possibilità di competere ad armi pari: se io abbatto le emissioni di una tonnellata di CO₂ col fotovoltaico devo avere lo stesso vantaggio che se lo faccio con l’eolico, con il nucleare, con l’efficienza energetica, con la cattura del carbonio o con qualunque altra diavoleria; simmetricamente, se io emetto una tonnellata di CO₂ in atmosfera, devo pagare la stessa penalizzazione a prescindere dal motivo per cui la emetto e dal processo attraverso cui la emetto».

Può fare un esempio concreto di questo paradosso?
«Paradossalmente la forma più efficiente di fotovoltaico, che è il grande fotovoltaico in campo, noi sostanzialmente la vediamo quasi vietata in Italia. È paradossale: tu vieti l’utilizzo di quella tecnologia quando è competitiva ed eroghi sussidi in maniera del tutto irrazionale quando non lo è, e questo è esattamente l’opposto di quello che dobbiamo fare».

oggi, 11 Dicembre 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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