Nel Tpl non c'è concorrenza senza privatizzazioni

Per aumentare l'efficienza del trasporto pubblico locale occorre privatizzare le aziende controllate dagli enti locali

30 Gennaio 2023

Affari & Finanza – la Repubblica

Francesco Ramella

Research fellow, IBL e docente di Trasporti, Università di Torino

Argomenti / Politiche pubbliche

È trascorso un quarto di secolo da quando, nel mese di dicembre del 1997, venne approvato il decreto legislativo “Burlando” che mirava a trasformare l’assetto del settore del trasporto pubblico locale affidando alle Regioni la responsabilità della pianificazione e del finanziamento dei servizi e introducendo la procedura di gara a evidenza pubblica come modalità ordinaria per l’affidamento degli stessi. Quel provvedimento, che faceva seguito a un precedente fallito tentativo di riforma del settore del 1981, è rimasto quasi interamente lettera morta. Di proroga in proroga, tra una gara dall’esito scontato e quella successiva, la foresta delle municipalizzate è rimasta pietrificata.

Non c’è grande città che abbia visto un avvicendamento del gestore che rimane, come nel secolo scorso, l’azienda controllata dall’ente locale. C’è una sola eccezione, quella di Firenze, la cui società è passata dal controllo comunale a quello statale a seguito dell’acquisizione da parte delle Ferrovie dello Stato italiane.

Qual è il costo del permanere di tale condizione? Almeno in prima approssimazione è possibile stimarlo mettendo a confronto le aziende italiane con le migliori imprese in Europa: se ci fosse, come accade per la maggior parte dei settori, un mercato unico europeo, tutte le società sarebbero infatti costrette, pena il fallimento, ad allineare i propri costi a quelli delle compagini più efficienti.

Ora, nelle aree metropolitane britanniche (ad eccezione di Londra) dove il trasporto pubblico è prodotto su base commerciale con un ruolo sussidiario dell’ente locale che finanzia parzialmente i servizi nelle aree periferiche e nelle fasce orarie a più bassa frequentazione e rimborsa le imprese per la vendita di titoli di viaggio a prezzi scontati per alcune categorie di utenti, far viaggiare un autobus per un chilometro costa intorno ai 2,5 euro. In Italia l’onere è all’incirca doppio. Dimezzando i costi unitari, i sussidi che da noi coprono intorno ai due terzi delle spese di produzione potrebbero essere ridotti del 75% senza alcun taglio dei servizi e mantenendo invariate le attuali tariffe.

In una indagine conoscitiva di alcuni anni fa l’Autorità garante per il mercato sosteneva che vi sono anche in Italia ampi spazi per lo sviluppo della “concorrenza nel mercato” come accaduto nel Regno Unito. Tale prospettiva appare oggi del tutto irrealistica. E non molto più roseo sembra essere l’orizzonte per l’adozione della “concorrenza per il mercato” che prevede il mantenimento in capo al soggetto pubblico della pianificazione di tutti i servizi e della definizione delle politiche tariffarie e che ottima prova di sé ha dato nella fase iniziale di applicazione nella capitale britannica e in Svezia.

La riforma dei servizi pubblici locali approvata dal governo nello scorso mese di dicembre non prevede, infatti, l’obbligo della gara per l’affidamento anche se, ed è un passo nella giusta direzione, sposta sull’ente locale l’onere della motivazione della scelta di affidare il servizio in house. D’altra parte, neppure la previsione di un obbligo sarebbe condizione sufficiente perché la concorrenza possa dispiegare i suoi effetti positivi. L’esperienza dei passati decenni mostra come condizione imprescindibile per il superamento dell’attuale assetto sia la privatizzazione delle aziende oggi controllate dagli enti locali.

Non potranno mai esserci gare “vere” se chi le bandisce, oltre al ruolo di arbitro, continuerà a giocare la partita in qualità di proprietario di uno dei partecipanti. Non vi è altro caso di acquisto di beni o servizi da parte della pubblica amministrazione nel quale si verifichi questo conflitto di interessi. Quella che sembra una stravaganza per il trasporto pubblico è la normalità in tutti gli altri casi.

Un ulteriore elemento che pregiudica la possibilità di un corretto confronto concorrenziale è dato dall’assenza per un’azienda pubblica di un reale vincolo di bilancio. Così come oggi è possibile non curarsi troppo di eventuali disavanzi sapendo che, prima o poi, verrà in soccorso la mano pubblica, in caso di gara una municipalizzata potrebbe presentare un’offerta molto vantaggiosa pur sapendo di non essere in grado di fornire il servizio in equilibrio economico alle condizioni pattuite. C’è da aggiungere che l’attuale finanziamento statale dei servizi deresponsabilizza gli stessi amministratori locali poiché trasferisce sia l’onere del finanziamento ordinario sia, eventualmente, quello straordinario dai propri elettori alla collettività tutta intera.

Solo con la privatizzazione si potrebbe dunque avere un campo di gioco “piano” nel quale tutti i concorrenti avrebbero un’identica possibilità di successo e non vi sarebbero squadre più uguali delle altre. E non è un caso che i più accessi sostenitori del mantenimento dello status quo siano i politici locali di ogni colore politico e gli esponenti sindacali attivi a livello aziendale. Per costoro maggiori costi per i contribuenti (più tasse) e per i consumatori (meno servizi e/o biglietti e abbonamenti più cari) equivalgono ad altrettanti benefici.

da Affari & Finanza – La Repubblica, 30 gennaio 2023

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