7 Luglio 2025
Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Quella sul tempo che fa è la più classica conversazione da ascensore. Ma ora assume sfumature drammatiche. Il caldo estivo, che sicuramente crea non pochi disagi a noi e ai nostri animali domestici, sta mutando in «emergenza», anche se ieri, almeno al Nord, ha concesso una pausa.
L’inflazione delle emergenze non fa bene al dibattito pubblico. E nemmeno alle vittime del caldo. Di per sé, il vocabolario dell’emergenzialismo spinge verso le scelte collettive. Invoca la decisione politica, se possibile «macro». Quando forse invece le questioni rilevanti restano «micro». Nelle città conta la geografia, il verde urbano, la composizione demografica, fattori culturali che accentuano o mitigano alcuni problemi (a cominciare dalla solitudine). Non tutti i mestieri sono condizionati dal caldo alla stessa maniera. E le singole persone reagiscono e si adattano ciascuna a modo proprio.
Emergenza sta per situazione imprevista, che impone di agire immediatamente. Meglio sarebbe parlare di «problemi». Che si possono provare a risolvere mettendo in campo idee e strategie nuove tanto più sono i luoghi nei quali le decisioni vengono prese. Se c’è bisogno di idee inedite, per far fronte al clima che cambia come a tanti altri problemi, dobbiamo anche ammettere che la soluzione non ce l’abbiamo già in tasca. E’ da cercare. Senza dimenticare il buon senso, che nulla come la parola «emergenza» induce a rintanarsi da qualche parte, timoroso del senso comune.