Sul Mes rischiamo la reputazione

La ratifica del Meccanismo, e quindi la conferma dell'adesione dell'ltalia, non equivale a un suo utilizzo

30 Ottobre 2023

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

Con il suo attendismo sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, l’Italia sta esercitando una specie di veto all’operatività del Mes, che giustifica la pressione esercitata da ultimo dal presidente dell’Eurogruppo. Il Mes è una iniziativa internazionale di sostegno reciproco tra gli Stati dell’Eurozona in caso di crisi, per non pregiudicare la stabilità dell’euro: con esso, gli Stati aderenti ricevono, se richiesta, assistenza finanziaria, attraverso l’apertura di una linea di credito e prestiti o acquisti di titoli pubblici sul mercato primario e secondario. 

Istituito nel 2012 sulla base di due precedenti iniziative del 2010, all’indomani della crisi dei debiti sovrani, nel 2018 ha iniziato un percorso di riforma dopo che la Commissione europea aveva chiesto, invano, di integrarlo nel diritto europeo. La riforma, giunta dopo due anni di negoziati, riguarda in maniera limitata le condizioni di assistenza finanziaria, non modifica le caratteristiche principali del Meccanismo, ma introduce una nuova funzione che consentirebbe al Meccanismo di contenere i rischi di contagio per eventuali crisi bancarie e che, se l’Italia non ratifica entro dicembre, rischia di andare persa. 

La ratifica del Meccanismo, e quindi la conferma dell’adesione dell’Italia allo stesso, non equivale a un suo utilizzo. L’Italia, come qualsiasi altro Stato aderente, non sarà obbligata a chiedere assistenza finanziaria solo perché il nuovo Mes è operativo. D’altro canto, la mancata ratifica impedisce non solo all’Italia, ma anche agli altri Stati la possibilità di avvalersene. 

Dal punto di vista regolatorio, non c’è alcun motivo, quindi, per rinnegare l’accordo: nessuno impone di utilizzarlo, e sarebbe giusto che nessuno (Stato) imponesse agli altri di farlo. Il veto italiano non aggiunge nulla al nostro Paese, ma toglie un’opzione agli altri (e in fondo anche a noi stessi: del Mes, come dell’assicurazione, nessuno ha bisogno… finché non ne ha bisogno). 

La questione, dunque, è politica. E lo è per due profili, intrecciati tra loro. Le due principali forze che compongono l’attuale maggioranza di governo sono quelle che, negli anni in cui erano all’opposizione, si erano fortemente espresse contro il Meccanismo, insieme al M5S, paventando una conseguente menomazione della sovranità italiana e sottomissione alla volontà dei burocrati europei. Erano gli anni di “abbasso la Troika”, ma anche quelli, più recenti, della pandemia da Covid, durante i quali FdI e Lega in Parlamento si erano fermamente opposte sia alla riforma in sé del Mes che all’uso del “Mes sanitario”, ovvero alla proposta di un ricorso a un Mes attenuato, senza o con limitate condizionalità. 

Oggi (primo profilo) è difficile rinnegare del tutto una posizione sovranisticamente cavalcata in modo così netto. Non potendo farlo sic et simpliciter, è verosimile (secondo profilo) che le forze di maggioranza provino quantomeno a far credere di usare il veto sul Mes come merce di scambio sugli altri tavoli aperti a Bruxelles, dalla modifica del Patto di Stabilità al Pnrr. Alla peggio, potrà proseguire la narrazione che i poteri forti europei hanno impedito loro qualsiasi confronto: una sconfitta nell’immediato, il consolidamento di alcune idee elettoralmente ripagate nel medio termine. 

Il Mes, a ben vedere, non è l’unico strumento di sostegno finanziario che preveda le condizionalità, intese sia come obiettivi di spesa che come riforme collegate. Anzi. Esse esistono nei sistemi europei di finanziamento come i fondi strutturali e di coesione, che sono strumenti ordinari e permanenti di finanziamento alle zone meno sviluppate dell’area europea. Soprattutto, esistono nel dispositivo per la ripresa e la resilienza (il cappello del Pnrr). Proprio il dispositivo mostra che modalità di sostegno agli Stati hanno ormai portato a una condivisione del metodo e dell’indirizzo di governo di gran lunga più vasta e più profonda di quella che si ha in occasione del ricorso al Mes. 

La logica della condizionalità è quindi una logica già usata in ambito europeo, sia per motivi di riequilibrio e redistribuzione delle risorse che per motivi di assistenza finanziaria. E una logica accettata dall’Italia, nei programmi che si sono appena menzionati. La reputazione di uno Stato è una questione primaria. Consentire agli Stati di accedere allo strumento già approvato anche dall’Italia, e accettare persino l’idea di poter avere bisogno di assistenza finanziaria in momenti di crisi non è detto che indichi una minore autorevolezza rispetto a vantare una presunta idea sovranista di risolvere da sé, magari con un debito a un maggior costo sul mercato, i propri problemi di bilancio. 

Così come mostrare coerenza e rispetto verso gli orientamenti di partito non è detto che sia politicamente più serio del rispetto dovuto alle istituzioni. Quelle nazionali, visto che la riforma del Mes è stata comunque già approvata dall’Italia. E di quelle degli altri Stati aderenti, i quali possono avere tutte le legittime aspettative a che essa diventi operativa, senza che nessuno obblighi gli altri a farvi ricorso ma al tempo stesso senza che nessuno lo impedisca.

da La Stampa, 28 ottobre 2023

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