Sui conti si gioca la credibilità dell'Italia. Pericolose le tentazioni sull'articolo 81

Classe politica ansiosa di divellere l'argine, sia pure tanto debole, alla propria voracità

31 Luglio 2014

Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

È noto che gli oppositori delle riforme istituzionali, versione Renzi, vorrebbero che la Costituzione restasse così com’è. Ma fanno un’eccezione: per l’articolo 81, modificato nel 2011 perché prescrivesse l’«equilibrio» fra uscite e entrate dello Stato. Nei giorni scorsi ne hanno parlato, in due interviste, sia Nichi Vendola sia Massimo Mucchetti (Corriere, rispettivamente il 29 e il 28 luglio).

È una battaglia tutta simbolica: la sinistra ci legge una sorta di rifiuto costituzionale del keynesismo. Per la verità, la stessa cosa si poteva dire dell’art. 81 originario, che obbligava a indicare i mezzi per far fronte alle nuove spese. Sappiamo come andò a finire: sul punto, la Costituzione più bella del mondo rimase lettera morta. Il nuovo art. 81 esige l’«equilibrio» di bilancio, ma aggiustato al ciclo economico, da quest’anno. Subito le Camere hanno votato per consentire al governo di disattenderlo. Si può considerare eccessivamente inflessibile una norma che sì lascia forzare già al momento del debutto? Gioverebbe forse ricordare perché, nel 2011, ci si affrettò a riscrivere l’art. 81. La marcia apparentemente inarrestabile dello spread imponeva di dare un segnale circa la serietà delle nostre intenzioni, quanto a riordino della finanza pubblica (seguendo l’esempio dei tedeschi, che per primi hanno costituzionalizzato il pareggio). Il percorso di revisione costituzionale ebbe inizio sotto il governo Berlusconi e si concluse con il governo Monti ed è in coerenza con il trattato detto Fiscal compact.

Che il legislatore abbia voluto tenersi le mani libere, si capisce dal fatto che si parla di «equilibrio» di bilancio, più rassicurante del «pareggio». Le norme costituzionali sono materia plastica nelle mani del ceto politico: la «sterilizzazione» dell’art.81, quest’anno, lo conferma. Cosa pensare, però, di una classe politica così ansiosa di divellere un argine, sia pure tanto debole, alla propria voracità? Che ne direbbero investitori e partner europei? Chi vuole riscrivere l’art. 81 intende affermare il principio della più ampia discrezionalità nella spesa pubblica. Principio che in Italia ha un’antica tradizione e solide realizzazioni: a cominciare dai nostri 2.200 miliardi di debito.

Dal Corriere della sera, 31 luglio 2014
Twitter: @amingardi

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