"Società vitale" in "Stato essenziale". Al cuore stanno libertà scolastica e lavoro

Mingardi e Sacconi hanno scritto un agile libro che affronta alcune delle questioni più urgenti per il Paese

27 Gennaio 2023

Avvenire

Argomenti / Teoria e scienze sociali

“Guai che un uomo, che un gruppo di uomini, pensino di modificare il mondo con la bacchetta magica del potere statale, credendosi onnipotenti, mentre dovrebbero sentirsi umili cooperatori delle forze sociali nel loro progressivo sviluppo”. Con queste parole di Luigi Sturzo poste in esergo, Maurizio Sacconi e Alberto Mingardi introducono un interessantissimo libro che indirizzano «A coloro secondo i quali lo Stato non deve disturbare chi ha voglia di fare». 

Il libro si intitola Stato essenziale, società vitale. Si tratta di un agile lavoro che affronta alcune delle questioni più urgenti che interessano la vita del Paese, offrendo uno sguardo originale e una prospettiva teorica tutt’altro che egemone nel dibattito pubblico. È il tentativo di declinare temi quali la transizione energetica, il welfare, la burocrazia, il debito pubblico, il Pnrr, la scuola, la salute, il lavoro e la questione meridionale in policy concrete, a partire da una cultura politica ispirata al principio di sussidiarietà. 

Possiamo riassumere il carattere economico e politico di una società ordinata secondo il paradigma della sussidiarietà nell’affermazione che lo Stato non deve avocare a sé le competenze di ambiti che appartengono ad istituzioni di ordine inferiore. Semmai deve sorvegliare che questi livelli adempiano adeguatamente ai loro compiti e intervenire solo nel caso in cui essi non ce la facciano; in breve, vale quanto affermato da Pio XII e confermato dalla linguistica – si pensi agli studi di Émile Benveniste: civitas propter cives, non cives propter civitatem

È questa una prospettiva che Sacconi e Mingardi mutuano anche dal carattere repubblicano dell’ordinamento italiano, la cui struttura è descritta dall’articolo 114 della Costituzione: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», e indica nella Repubblica un sistema plurarchico di enti concorrenti, di cui lo Stato è una parte e non il vertice sintetico.

Tornano alla mente le parole del Mortati, il quale affermava che con la parola “Stato” si designa esclusivamente quella parte dell’ordinamento costituito dall’apparato centrale di governo e delle sue diramazioni periferiche, “giovandosi” invece del termine «”Repubblica” per indicare la totalità dell’assetto istituzionale». In tal senso, si comprendono le ragioni per cui gli autori vedono nello Stato un insieme di enti capaci di fissare standard di qualità e di controllare il risultato, piuttosto che la reificazione stessa di un indefinibile Tutto. 

La prospettiva sussidiaria articolata dagli autori, oltre a dirci che non tutto è Stato, ci mette al riparo dalla tentazione di pensare che ciò che non è ancora Stato oggi possa diventarlo domani. Il compito dello Stato, scrivono Sacconi e Mingardi, «è offrire un quadro di regole del gioco finalmente certe, per lasciare spazio alla creatività e alla capacità di innovazione di una società, come quella italiana, che può farcela a superare le sfide di oggi»; in breve, secondo la definizione sturziana, lo Stato come «un nome astratto atto ad indicare l’organizzazione della pubblica amministrazione», con un carattere rule oriented, piuttosto che task oriented

Al cuore della “società vitale”, Sacconi e Mingardi individuano un sistema scolastico in cui i genitori sono liberi di scegliere le scuole più corrispondenti alle esigenze e ai desideri educativi dei figli, mediante il sistema del “buono scuola”, in un contesto competitivo tra scuole pubbliche di proprietà dello Stato e scuole altrettanto pubbliche, ma non per questo dello Stato; un sistema che neghi qualsiasi pretesa di monopolio sul sistema educativo. 

Accanto alla scuola, un altro ambito essenziale alla vitalità della società è il lavoro. Uno “Stato essenziale” presidia e rafforza la cultura del lavoro, semplificando la vita delle imprese e promuovendo il “gusto del lavoro ben fatto” che non può essere l’oggetto di alcuna legge: «Si possono normare le condizioni dei lavoratori, ma non il modo con il quale si accingono a lavorare: non il loro spirito»; è questo il senso di un laburismo liberale e popolare. La “società vitale” e lo “Stato essenziale” richiedono la prima e fondamentale arte di cui si nutre l’homo democraticus, la capacità di dar vita a realtà sociali nelle quali sperimentare l’autogoverno e così praticare la virtù della giustizia sociale. 

da Avvenire, 27 gennaio 2023

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