Gli sgravi sull’energia non valgono tasse e deficit

Il governo dovrebbe riflettere a fondo sulla strategia che intende seguire

1 Novembre 2022

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche

Il primo atto del governo Meloni sarà probabilmente in piena continuità con l’esecutivo precedente guidato da Mario Draghi: prorogare almeno fino alla fine dell’anno gli sgravi sui prezzi dell’energia. A quanto si apprende, l’intenzione è poi di mantenerli o addirittura potenziarli per tutto il 2023. Per far fronte agli enormi costi di tale manovra – stimabili tra i 40 e i 60 miliardi di euro – si sta studiando non solo un incremento del deficit dal 3,9 al 4,5 per cento, ma anche una nuova tassa sulle grandi società di e-commerce che utilizzano mezzi inquinanti per effettuare le consegne.

Un po’ di inerzia è comprensibile, per un governo che si insedia alla vigilia della legge di bilancio. Tuttavia, Palazzo Chigi dovrebbe approfittare dei prossimi giorni per riflettere a fondo sulla strategia che intende seguire. La crisi energetica in corso non è un fuoco di paglia: è destinata a durare ancora a lungo. Ha davvero senso impegnare risorse enormi per finanziare sconti generalizzati, insufficienti a salvare chi effettivamente si trova in difficoltà e non necessari per molti altri?

Queste domande sono tanto più pressanti se si considera che tali sgravi impongono non solo di rinunciare ad altre spese ugualmente importanti (per esempio: a due anni dallo scoppio della pandemia non si è ancora varato un serio piano di ventilazione delle scuole). Inoltre, essi costringono da un lato ad aumentare il deficit, partendo da un livello già molto elevato, e nonostante un debito pubblico ben oltre le soglie di guardia. Dall’altro lato, la politica si sta esercitando nel disegno di imposte fantasiose, nella speranza di pescare i soldi dalle tasche di chi non ha una eccessiva influenza sull’opinione pubblica: i grandi colossi del web. Dal cilindro oggi è uscito il nome di Amazon e degli altri operatori del commercio elettronico. Senza però rendersi conto del duplice paradosso. In primo luogo, l’eventuale incremento (per via fiscale) dei costi delle consegne non potrà che ripercuotersi a valle, a detrimento dei consumatori che in teoria si volevano proteggere e con buona pace dell’inflazione. Secondariamente, e più importante, che senso ha tassare i mezzi (a gasolio) utilizzati per le consegne per ridurre le accise (su benzina e gasolio) degli altri mezzi? Se l’obiettivo è ambientale, allora le accise vanno inasprite per tutti allo scopo di comprimere i consumi. Se invece l’obiettivo è di alleviare l’impatto della crisi, gli sconti vanno concentrati su chi davvero ne ha bisogno. Non sappiamo se, in tal caso, i fattorini avrebbero diritto o no a goderne. L’assurdità sta nell’idea di tassare arbitrariamente il gasolio consumato da Tizio per finanziare uno sconto sullo stesso prodotto consumato da chiunque altro.

1 novembre 2022

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