Sei giorni dividono il pubblico dal privato

L'assenteismo dei dipendenti pubblici costa all'intero Paese quasi quattro miliardi di euro ogni anno

20 Gennaio 2015

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Dopo lo scandalo dei vigili urbani di Roma (1’85% dei quali non era al lavoro nella notte di Capodanno), una ricerca del Centro studi di Confindustria ha rilevato che l’assenteismo dei dipendenti pubblici costa all’intero Paese quasi quattro miliardi di euro ogni anno: 3,7 miliardi, per l’esattezza. Si tratta di una cifra colossale, che si spiega con il fatto che, nel 2013, di media i lavoratori statali hanno totalizzato 19 giorni di assenze retribuite. A questo dato, fornito dalla Ragioneria generale dello Stato, la ricerca contrappone quello risultante dall’esame del comportamento di un campione di dipendenti di imprese private con oltre 100 addetti. Il risultato è che nel settore pubblico l’assenteismo è superiore di ben 6 giorni all’anno: i1 46,3% in più. Questo può indurre varie riflessioni: molte delle quali sono legittime. In particolare, taluni commentatori hanno enfatizzato l’esigenza di rendere più efficienti gli uffici pubblici, introducendo controlli e innalzandone la qualità al livello delle aziende private. E certo è positivo auspicare una migliore efficienza dello Stato, specie se questo può servire ad avere meno dipendenti e di conseguenza meno costi.

C’è però un’altra considerazione. Quanti si limitano a chiedere uno Stato migliore sembrano ignorare che la cattiva performance dei funzionari italiani è solo in parte connessa al limitato civismo della nostra popolazione. Pur con intensità diverse, una sfasatura tra pubblico e privato si ritrova a tutte le latitudini, poiché dove abbiamo proprietari privati (e anche persone da loro delegate) c’è una maggiore cura nella gestione dei servizi, nel contenimento dei costi, nel controllo di ogni aspetto produttivo e organizzativo: incluse le stesse assenze ingiustificate. In tal senso, il miglior modo e il più semplice per estendere il comportamento relativamente più “virtuoso” dei dipendenti privati anche alle attività oggi di competenza statale consiste nel ridurre tout court la presenza della mano pubblica e nel liberare così spazio a imprese di mercato. Dalle poste alle ferrovie, dalle banche alle università, è urgente che i vari programmi di privatizzazione e liberalizzazione più volte evocati dagli ultimi governi e poi sostanzialmente disattesi siano tradotti in realtà.
Ormai è chiaro come sia un’illusione quella di avere un “pubblico” che si comporta come un “privato”. Non c’è dubbio che al suo interno il mondo dei dipendenti statali include realtà assai diverse, e i vari ambiti dello Stato non sono facilmente assimilabili tra loro, ma nell’insieme ci si può aspettare certi risultati solo se il sistema di incentivi e disincentivi che è proprio del mercato agisce e produce i suoi effetti. E all’interno dello Stato quelle logiche non sono trapiantabili.

È tanto banale quanto è vero, ma se un dipendente statale è oggi assente di media sei giorni in più all’anno di un dipendente privato, la strada più rapida per correggere questa situazione sta nel far sì che ogni volta che ciò sia possibile anche questi lasci la funzione pubblica e lavori per un’impresa privata in competizione con altre. I benefici sarebbero sicuramente notevoli

Da La Provincia, 20 gennaio 2015

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