Il disegno di legge per il bilancio 2026 è stato bollinato dalla Ragioneria generale dello Stato e se ne può quindi discutere come di un testo pressoché definitivo, al netto di rimodulazioni e emendamenti parlamentari che non cambieranno la sostanza della legge.
Va quindi preso per definitivo, innanzitutto, il valore dei 18 miliardi complessivi. Pochi per i detrattori della manovra; adeguati, ovviamente, per i sostenitori. Chi la loda e chi la critica, però, si concentrano a guardare il testo anziché i margini entro i quali è scritto.
I commenti sembrano infatti sottovalutare che dall’anno scorso le regole di bilancio sono cambiate e la legge che entro il 31 dicembre di ogni anno viene approvata non ha più lo stesso valore politico, e quindi la stessa libertà di manovra, di prima.
Con la riforma del Patto europeo di stabilità entrata in vigore l’anno scorso, non è più il saldo strutturale il criterio a cui attenersi: quanto spendi rispetto a quanto incassi, anche attraverso il ricorso al debito. Il criterio è la spesa primaria netta, cioè la spesa pubblica al netto degli interessi e dell’aumento delle entrate. Questo vuol dire che le leggi di bilancio, come solo Luigi Marattin tra gli esponenti politici ha ricordato, non si basano più sul deficit di anno in anno aggiustato magari con la scusa di questa o quella crisi, ma sui limiti alla crescita della spesa pubblica. E l’andamento della spesa viene tracciato su un arco temporale che va dai quattro ai sette anni in un documento pluriennale, il Piano strutturale di bilancio, che rappresenta la parte più sostanziale della politica di bilancio nazionale e che non si può modificare se non per un cambio di governo.
Il primo Piano è stato presentato l’anno scorso e vale fino al 2031. Questo vuol dire che fino a quella data le manovre annuali si muovono su binari predeterminati di finanza e spesa pubblica. Non ci sono maggiori entrate rispetto al previsto o maggiori deficit che tengano: l’andamento della spesa è indicato una volta per tutte, fino al nuovo Piano. Per avere più agio nell’allocazione della spesa, si può solo aumentare le tasse o ridurle da qualche parte, entrambi esercizi acrobatici date le nostre finanze.
Si tratta di una novità di grande rilevanza anche dal punto di vista della politica interna, che dovrebbe invitare prima di tutto l’opposizione a cambiare gli argomenti con cui criticare le singole manovre, se vuole immaginarsi un domani a Palazzo Chigi.
Ciò detto, va dato atto al ministro Giorgetti e alla presidente Meloni di essere stati più realisti del re e di aver fatto comunque delle scelte, pur in queste condizioni date. All’interno delle nuove regole di bilancio — proposte da una Commissione al cui interno sedeva Paolo Gentiloni e approvate da un Consiglio in cui l’esecutivo italiano era quello presieduto da Giorgia Meloni — il governo poteva essere anche meno prudente di quanto sia stato.
Dal punto di vista europeo, avrebbe potuto prendersi ancora un anno prima di uscire dalla procedura di disavanzo eccessivo, in cui siamo dal luglio 2024. Peraltro, anche volendo uscirvi anticipatamente, avrebbe probabilmente potuto sfruttare un maggior margine di spesa, al di là del tradizionale accantonamento per gli emendamenti parlamentari. In ipotesi estrema, in quanto elettoralmente suicida ma valida per le regole europee, avrebbe persino potuto aumentare le imposte.
La manovra leggera ha quindi una doppia spiegazione politica. La prima guarda all’Europa come la casa in cui non solo l’Italia deve stare, ma la destra di governo vuole stare in maniera convinta, non fosse altro perché è il modo con cui accreditarsi all’estero e soprattutto nei mercati. La seconda spiegazione, interna, ritiene l’aumento delle imposte una non ipotesi e la prudenza nella spesa una priorità, e non solo perché ce lo chiedono i vincoli europei di bilancio.
Nei limiti di questo contenimento, poi, la modulazione della spesa segnala, come per la precedente legge di bilancio, un’attenzione alle fasce di reddito medio basse, con la riduzione della seconda aliquota e la progressiva sterilizzazione del fiscal drag, e un aumento della pressione fiscale su banche e assicurazioni. Tutto sommato, una buona manovra di sinistra, per un governo di destra.