Se i Repubblicani USA tornassero liberisti

Dopo le ultime elezioni è lecito chiedersi se il partito possa tornare su posizioni anti-spesa pubblica e meno «populiste»

14 Novembre 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Gli osservatori, soprattutto europei, temevano che le elezioni di mid-term innescassero negli Usa uno tsunami trumpiano, che preparasse il ritorno sulla scena dell’ex Presidente. Questo non è avvenuto. L’esito è anzi stato interpretato come in larga misura favorevole all’attuale inquilino della Casa Bianca.

Quali saranno le ripercussioni sull’economia americana? Molti commentatori hanno sottolineato quanto pochi rappresentanti in più la destra abbia guadagnato al Congresso, quando è abbastanza normale che alle elezioni di medio termine chi è all’opposizione del Presidente faccia incetta di voti. Ad ogni modo hanno la maggioranza e questo significa lo Speaker della Camera e dunque il controllo delle commissioni, della calendarizzazione dei lavori e dell’agenda legislativa. La cosa non è di per sé un problema per Biden: il Presidente è un ex parlamentare d’esperienza ed è noto per essere un buon mediatore, sin da quando era lui a dover negoziare con una Casa Bianca di segno avverso. Nei primi due anni della sua amministrazione, i successi politici più rilevanti sono senz’altro il programma di spesa per infrastrutture e il cambiamento della normativa sul possesso di armi da fuoco. L’uno e l’altro passati con sostegno bipartisan. Tuttavia il Biden Presidente è apparso spesso ostaggio della sinistra del partito e quest’ultima è intrinsecamente avversa a qualsiasi mediazione. Oggi, la sinistra dei democratici insiste su temi essenzialmente identitari (a cominciare dalla questione dell’aborto) sui quali per definizione non c’è accordo possibile. Simmetricamente, lo stesso si può dire della destra dei repubblicani.

Di importanza cruciale è dunque come si evolverà l’identità del Partito repubblicano. A essere fortemente ridimensionata da queste elezioni è l’idea che la destra possa vincere soltanto se abbandona le sue tradizionali posizioni a favore del libero mercato in economia. Negli ultimi anni il fermento intellettuale più rilevante, nei circoli conservatori americani, è stato tutto fuorché liberista. L’idea prevalente era che il canovaccio reaganiano, per cui essere conservatori significa voler conservare l’assetto costituzionale ereditato dai Padri fondatori, fosse usurato, reso obsoleto dal capitalismo delle piattaforme, dall’effetto della globalizzazione sul ceto medio, dall’immigrazione messicana, per limitarsi alle più popolari giaculatorie del rosario dei conservatori culturali. Invece chi ha stravinto le elezioni, fra i candidati del GOP? I governatori di Florida e Texas DeSantis e Abbott i quali, in buona sostanza, hanno protestato contro le restrizioni alla libertà economica e di circolazione imposte durante il Covid, sostenendo che le libertà costituzionali dovevano arrivare prima di qualsiasi, nebuloso diritto alla salute.

Soprattutto il trionfo di DeSantis, rieletto col 60% dei voti in uno stato, la Florida, che solo alcuni anni fa non era poi così rosso, ha implicazioni rilevanti. DeSantis è capace di mescolare alcuni elementi retorici che rendono Trump attraente per certi elettori (la rivolta contro un establishment autoreferenziale) con un mix di proposte più coerente con le posizioni tradizionali del suo partito. In più, Trump lo ha in buona sostanza minacciato, alcune settimane fa, pronosticandogli vita breve in caso avesse deciso di correre per la Presidenza. Le elezioni di mid-term rendono più probabile una vittoria di DeSantis alle primarie e un po’ meno (quand’anche tutt’altro che impossibile) il ritorno sulle scene dell’immobiliarista newyorkese.

Se i repubblicani tornassero a ritenere che una piattaforma liberista non ostacola ma agevola la possibilità di un successo elettorale, cambierebbero un po’ di cose. Anzitutto, sarebbe lecito immaginarsi un Congresso che fa ostruzionismo sui provvedimenti di spesa, costringendo l’amministrazione a concentrare la propria azione in altri ambiti. Biden potrebbe fare come l’ultimo Obama, che scommise sulla Trans-Pacific Partnership per tessere un dialogo coi repubblicani attraverso un nuovo trattato di libero scambio. Per ora Biden è stato in perfetta continuità con Trump sulla madre di tutte le questioni: il rapporto con la Cina. Ma è pur vero che, prima che Nancy Pelosi facesse saltare il banco con il suo viaggio a Taiwan, Janet Yellen aveva tentato di riaprire una negoziazione commerciale coi cinesi. Ciò rientra prima di tutto in una logica di contenimento dell’inflazione: ridurre i dazi per importare prodotti a costo più basso. Dei repubblicani trumpiani si metterebbero in mezzo, i repubblicani de-trumpizzati potrebbe cavalcare la questione.

Da ultimo, dei repubblicani tornati su coordinate più tradizionali potrebbero rivelarsi una buona notizia per la Federal Reserve impegnata nell’aumento dei tassi. All’inflazione da Bidenomics, potrebbero opporre la loro tradizionale preferenza per il sound money. Inoltre, l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk vede scendere in campo un nuovo player. Musk potrebbe tentare di riavvicinare repubblicani e Silicon Valley, su una piattaforma assai diversa da quella del suo amico Peter Thiel, convertitosi al nazional-conservatorismo.

Si tratta di scenari con pochi punti fermi. La partita per definire l’identità del partito repubblicano è appena iniziata e i suoi esiti avranno grande importanza, per Big Business così come per l’economia in generale.

da L’Economia del Corriere della Sera, 14 novembre 2022

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