10 Novembre 2025
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
«I liberal americani sono i socialisti di un Paese senza socialismo». È una vecchia battuta di Giovanni Sartori, principe della politologia italiana, che a lungo insegnò negli Stati Uniti. Solo pochi anni fa, però, sarebbe stata inimmaginabile la vittoria, anche sulla Costa Est, di un sindaco con l’armamentario ideologico-retorico di Zohran Mamdani. Anche solo una ventina di anni fa, quando s’alzava la stella di Barack Obama, sarebbe stato impensabile che un candidato apertamente socialista espugnasse New York. Oggi non c’è nulla di sorprendente.
Ci eravamo già illusi, dopo il primo mandato di Donald Trump, che il sistema politico americano avrebbe trovato un nuovo equilibrio «al centro». Joe Biden pareva, a tal fine, il candidato perfetto. Agli occhi del mondo, era l’usato sicuro. E invece la presidenza Biden è stata più «progressista» di quanto non lo fosse stata quella di Barack Obama: ha spostato il confine fra la politica e l’economia. Gli elettori hanno risposto eleggendo Trump. Il quale, procedendo come uno schiacciasassi, ha provocato una reazione molto forte.
I democratici la settimana scorsa hanno vinto un po’ dappertutto e gli Stati blu si fanno sempre più blu. La dinamica non è nuova, ma sotto alcuni aspetti è inedita. Lo scontro politico fra destra e sinistra, fra le opzioni incarnate da Trump e da Mamdani, sfiora le grandi questioni, i principi di fondo, solo se si parla di cultura (woke e non woke). Sull’economia, è dichiaratamente una battaglia di interessi. Il settore pubblico è una macchina per redistribuire risorse: questo è palese per entrambi. Si differenziano solo perché hanno in mente beneficiari diversi.
Le scelte
Questo non vuol dire che i successi elettorali di Trump e ora, su scala inferiore, di Mamdani, non siano la conseguenza di problemi significativi, che giustamente l’elettorato percepisce come tali. Nel 2024 gli americani hanno votato per i repubblicani nonostante una crescita del 2,8%. Lo hanno fatto per due ragioni: la prima, sul piano culturale, era la percezione (giusta o sbagliata che fosse) di una presidenza impegnata a cambiare il volto della società Usa. La seconda, sul piano economico, era l’inflazione.
Nel 2025 i newyorkesi hanno scelto Mamdani senz’altro per dare uno schiaffo sia al Presidente sia a quell’establishment dei due partiti (a cominciare da Andrew Cuomo) che non è stato in grado di arginarlo. Ma anche a causa di quel «carovita urbano» che in molte grandi metropoli (o piccole, come Milano) porta a espellere dal centro quanto resta del vecchio ceto medio. I valori immobiliari e, con essi, gli affitti salgono a livelli incongrui rispetto ai redditi da lavoro. La soluzione di Mamdani è ripristinare l’equo canone. Il futuro non necessariamente somiglia al passato ma, almeno fino a oggi, a un prezzo politico per gli affitti ha sempre corrisposto una diminuzione degli alloggi offerti in locazione. L’alternativa sarebbe costruire di più, avvicinando l’offerta alla domanda.
Se i problemi esistono, stupisce e un po’ preoccupa il tipo di soluzione proposta. Gli Stati Uniti non sono e non erano il regno di un capitalismo «sregolato». E tuttavia erano tradizionalmente l’unico Paese dove l’onere della prova stava sulle spalle di chi proponeva una soluzione più statalista dello status quo. Toccava a chi desiderava nuove forme di intervento pubblico provare a sostenerne l’efficacia, il contrario di quanto accade in Europa.
Ora le cose non stanno più così. Gli europei sono colpiti dalla violenza della polarizzazione politica negli Stati Uniti ma, sul piano delle policy, essa non ha fatto altro che avvicinare il nuovo continente al vecchio. L’eccezionalismo americano, quella presunzione d’innocenza dell’iniziativa privata che ha contraddistinto per due secoli quel Paese, è finito.
Restano, però, più onesti di noi. La lotta politica in quel Paese è tanto più brutale quanto più si allontana dalle tradizionali soluzioni liberali (con la “i” finale). Assodato che la macchina pubblica va usata per redistribuire risorse, la competizione è sul chi deve trarne beneficio: il centro o le coste, i bianchi o le minoranze, le famiglie tradizionali o quelle nuove, gli americani che devono venire prima o i figli degli immigrati.
La storia d’immigrazione di cui Mamdani è fiero non è stata scritta così. Ad attrarre verso gli Usa il popolo degli operosi era lo spirito della frontiera, la sensazione di avere innanzi una prateria di possibilità, il dinamismo economico. Non il sussidio, l’affitto a prezzo calmierato, la drogheria statale dove anche la verdura ha un prezzo politico (c’è nel programma di Mamdani).
Se si europeizza la cultura economico-politica degli americani, può europeizzarsi anche la loro economia. Quello di New York è un “esperimento controllato” di socialismo municipale, che ricorderà agli americani i rischi dello statalismo, o è il primo passo verso la trasformazione degli Usa in un clone dell’Unione europea?