Se il "profitto" torna bersaglio della sinistra

Caso energia. Una profonda avversione per la libertà d'impresa continua a muovere la politica e a permeare la cultura del Paese

21 Marzo 2022

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Un problema cruciale del nostro Paese è il permanere di una cultura dominata da una profonda avversione per la libertà d’impresa. Ne offre conferma quanto ha dichiarato Giovanni Paglia, responsabile economia di Sinistra Italiana, secondo il quale «gli extraprofitti delle imprese energetiche sono letteralmente una rapina: 40 miliardi di euro che passano dalle nostre tasche a un pugno di grandi aziende senza alcun merito imprenditoriale». La nozione di extra-profitto lascia il tempo che trova. In una società libera ogni operatore può legittimamente cercare profitti, che possono essere alti (in talune circostanze) senza che di per sé siano illegittimi. È vero che il quadro italiano è caratterizzato da barriere all’ingresso che proteggono quanti sono già sul mercato, ma allora bisognerebbe fare tutto il possibile per combattere le rendite di un sistema economico non pienamente liberalizzato: non veramente libero. Purtroppo, però, non è in quella direzione che la maggior parte delle forze politiche intende muoversi.

Un odio così viscerale verso la proprietà, il profitto e la libera impresa non promette nulla di buono. Per giunta, la persuasione che lo Stato debba tutelare la società operando un costante esproprio delle risorse prodotte sul mercato concorrenziale è destinata a generare una crescente conflittualità: specie ora che l’aumento dei prezzi, in larga misura da addebitare alle politiche monetarie della Bce, sta riducendo il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi.

Chi volesse difendere davvero le famiglie e soprattutto quelle più deboli dinanzi al rincaro delle bollette e della benzina dovrebbe richiamare semmai l’attenzione sulla pressione fiscale altissima: su quelle accise e imposte indirette che sono le prime responsabili di prezzi tanto alti. È lo Stato, e non già il mercato, che ci sta riducendo in uno stato di povertà. La continua denuncia degli «speculatori» (si tratti dell’aumento del prezzo del pane o di qualsiasi altro bene) manifesta invece una gravissima incomprensione di come, su un mercato aperto, i prezzi rispondano a logiche naturali: a leggi che non si possono violare senza andare incontro a conseguenze assai gravi (come illustrava già Alessandro Manzoni nel dodicesimo capitolo del “Promessi Sposi”, dedicato all’assalto ai forni).

L’ignoranza dei principi elementari dell’economia, associata a decenni di una propaganda fondata sull’odio di classe, fanno sì che ancora vi sia chi mette sotto accusa i profitti e difende misure governative espropriatrici. Seguendo questa strada, però, ci troveremo a far parte di un desolante Terzo Mondo.

Da Il Giornale, 21 marzo 2022

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