Se aspettiamo un cenno di Bruxelles sull'immigrazione ci facciamo male

Bisogna capire se questo dell'immigrazione sia veramente un tema che esige una soluzione sovranazionale

10 Settembre 2015

Il Foglio

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Dopo l’euro, che ha già di fatto delineato un’ Europa a due velocità (con la Germania alla guida di quanti vogliono accelerare il processo di unificazione e il Regno Unito, tra gli altri, che invece non vuole essere ridotto al rango di una semplice “regione” degli Stati Uniti d’Europa), anche il tema dell’immigrazione pare ridefinire il dibattito sul futuro dell’Unione.

Seguendo il piano predisposto da Jean – Claude Juncker, che ripartisce gli immigrati secondo quote definite nazione per nazione, sembra chiaro che l’emergenza umanitaria possa essere una ghiotta occasione per un intervento forte. Perché si può gestire l’arrivo dei profughi siriani o di altra nazionalità con la soluzione dirigistica di quote che la Commissione europea fissa per tutti, oppure è possibile immaginare di avere sistemi nazionali del tutto indipendenti e differenziati, dove ogni paese cerca una risposta adeguata e in sintonia con i propri problemi, con la propria sensibilità, con il proprio modello di società. La retorica europeista evoca spesso il cosiddetto principio di sussidiarietà federale: l’idea, cioè, che Bruxelles dovrebbe agire soltanto quando i singoli stati non sono in grado di affrontare questa o quella specifica questione. In linea di massima, secondo quel principio ogni problema andrebbe risolto al livello istituzionale più vicino al cittadino (comune, provincia, regione ecc.), mentre l’Unione avrebbe il compito d’ intervenire se gli stati non hanno la capacità di fare da soli.

C’è però da chiedersi due cose. In primo luogo bisogna capire se questo dell’immigrazione sia veramente un tema che esige una soluzione sovranazionale, dato che ogni Stato appare benissimo in condizione di predisporre una propria politica in materia e – se lo vuole – aiutare come meglio crede quanti fuggono dalla guerra. In secondo luogo, e in termini molto generali, bisogna chiarirsi come vada correttamente inteso quello stesso principio di sussidiarietà, e cioè chi abbia il compito di affermare che gli Stati non sono in grado di dare buone risposte. Se infatti tale potere è attribuito all’Unione è ragionevole attendersi che (quasi) mai i singoli governi europei verranno giudicati da Bruxelles all’altezza delle sfide da affrontare. Assegnare all’Unione la facoltà di definire le competenze prelude a una soluzione dirigistica e centralistica, che presta il fianco a molte critiche: e non solo perché – nel caso specifico – imporre a una nazione europea di ricevere migliaia di profughi, anche quando non li vuole, può solo moltiplicare le tensioni interne all’Europa. Oltre a questo vi è poi un problema più generale. 

Quella dell’immigrazione non è una sfida semplice: e solo i demagoghi e i presuntuosi possono ritenere di avere capito tutto, illusi di conoscere quale sia la soluzione migliore. Poiché abbiamo dunque a che fare con un tema sfuggente che è carico di implicazioni di differente natura, può essere opportuno lasciare che le singole istituzioni nazionali gestiscano la cosa come meglio ritengono: sulla base delle loro assai imperfette valutazioni. In tal modo non soltanto ognuno cercherebbe di adottare le regole più corrette in relazione alla realtà in cui vive (l’Europa è ben lungi dall’essere una società coerente e indifferenziata), ma oltre a ciò si creerebbe anche un meccanismo competitivo. I fautori degli “open borders” potrebbero valutare sul terreno le conseguenze effettive delle proprie tesi e lo stesso potrebbero fare coloro che, al contrario, preferiscono ridurre al minimo i nuovi arrivi. Si attiverebbe un procedimento concorrenziale di ricerca su cosa sia più giusto e razionale fare, ma è vero che tutto questo implica che l’Unione rinunci alla presunzione di possedere un punto di vista privilegiato sulla realtà e che si metta in discussione una certa idea di cittadinanza europea: con ciò che fatalmente ne discende. Il Regno Unito di David Cameron si è detto disposto ad accogliere 20 mila siriani da qui al 2020, mentre la Germania di Angela Merkel ha dato la disponibilità a ricevere 800 mila rifugiati nel 2015. Di tutta evidenza sono due idee di Europa e due ipotesi di società. Lasciamole competere liberamente e chiediamo a Juncker, per favore, di farsi da parte.

Da Il Foglio, 10 settembre 2015

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