Scioperi: le lezioni che non s'imparano

I sindacati sono sempre meno una "parte sociale" e sempre più un attore politico

8 Novembre 2017

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Venerdì prossimo ci sarà l’ennesimo sciopero del settore dei trasporti, che coinvolgera’ tanto la mobilita’ urbana quanto aerei e ferrovie. Ancora una volta i dipendenti incroceranno le braccia alla vigilia del weekend e ancora una volta lo faranno con una motivazione fumosa: “contro l’attacco indiscriminato che si sta attuando sul mondo del lavoro”, contro “il Jobs Act, contro la precarizzazione dei contratti, contro le politiche di privatizzazione delle aziende pubbliche e contro tutte le politiche che stanno limitando il diritto di sciopero”. Ricordiamo il recente sciopero del 27 ottobre contro il “liberismo selvaggio”, peraltro in tempi nei quali di tutto si discute fuorché di come ridurre il perimetro dello Stato.

Ormai, insomma, gli scioperi si fanno sulla base di un manifesto politico più che di una rivendicazione sindacale: eppure, l’Unione sindacale di base, Cib Unicobas e Cobas – che hanno indetto l’agitazione – almeno su un punto hanno ragione. E’ vero che e’ in atto un “attacco indiscriminato sul mondo del lavoro”. Solo che, per trovarne i responsabili, non dovrebbero scendere in strada: dovrebbero guardarsi allo specchio.

L’utilizzo sempre piu’ indiscriminato del diritto di sciopero, tanto piu’ in un settore critico come quello dei trasporti dove esistono poche alternative (sovente proprio a causa della cattura del decisore anti-concorrenza da parte dei sindacati e aziende pubbliche), non produrra’ nessun beneficio per i diritti dei lavoratori, comunque li si definisca. Forse contribuirà a indebolire sempre piu’ la reputazione dei sindacati. E’ sempre più evidente come essi non siano una “parte sociale”, come essi non cerchino di rappresentare l’interesse preciso e localizzato di alcuni lavoratori innanzi alle loro controparti, ma siano un attore politico. Che anziché presentarsi alle elezioni per governare cerca di guadagnare “influenza” nei confronti di chi governa facendo i muscoli. E che anziché fare campagna elettorale sventola roboanti parole d’ordine in prossimità di ogni nuovo sciopero.

Venerdì verranno danneggiati i cittadini/contribuenti/pendolari, che si vedranno privati ancora una volta di un servizio per il quale hanno pagato tasse e biglietto. Ma alla lunga è probabile che danneggiati da iniziative di questo tipo siano anche i lavoratori: che dal sindacato si aspetterebbero strumenti concreti per provare a migliorare la propria situazione lavoristica e contrattuale, e invece trovano in esso soltanto un’aspirante mosca cocchiera.

In un Paese con ancora un minimo di buon senso, il rapporto perverso tra sindacati e imprese pubbliche dovrebbe indurre la classe dirigente a tornare a ragionare su politiche di privatizzazione e liberalizzazione: e’ solo negli ambiti monopolizzati dal pubblico che si possono verificare comportamenti di questo tipo. Se la controparte è lo Stato, è più probabile che la dialettica sindacale evolva in lotta politica: che anziché richieste concrete si discuta di programmi politici, che gli attori in gioco siano, l’uno e l’altro, allegramente irresponsabili, anche perché non c’è il rischio che il consumatore li penalizzi scegliendo un concorrente, per il semplice motivo che spesso esso non c’è. E’ difficile che gli scioperi nel settore pubblico non abbiano un timbro ideologico, ed è tanto più probabile che essi diventino una sorta di liturgia, strumentalmente utile all’allungamento del week end. Il problema, per usare un frasario non sconosciuto a chi manifesta, è la proprietà: la proprietà pubblica. Gli scioperi prefestivi sono l’inevitabile normalità, quando si considera normale l’anomalia dello Stato azionista.

8 novembre 2017

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