7 Maggio 2023
Il Secolo XIX
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Anticipiamo ampi stralci da “Capitalismo” (Bologna: Il Mulino, pp. 168, euro 13), il nuovo saggio di Alberto Mingardi, in libreria dal 5 maggio
Oggi libertà e sicurezza sono più a rischio che mai. Benjamin Constant (1767-1830) è forse il più illustre dei pensatori che credevano che il progresso tecnologico sostenesse la libertà individuale. Nel mondo moderno, «gli uomini trasferiscono lontano i propri tesori» e «portano con sé tutti i piaceri della vita privata». La maggior mobilità sarebbe un vincolo al potere e consentirebbe alle persone di de-politicizzare la propria vita. Ogni tanto, però, i miglioramenti tecnologici consentono al potere di fare cose che mai avremmo ritenuto possibili.
Ne abbiamo sperimentato un esempio con la pandemia Covid-19 alla quale i governi, a cominciare dal nostro, hanno reagito con i cosiddetti lockdown. La parola è nuova e da principio aveva un suono quasi rassicurante, alludendo a un’esigenza di protezione. Il lockdown, però, non ha significato solo “state a casa”. Intere attività sono state classificate “non essenziali” e temporaneamente chiuse. La libertà di scegliere e la libertà di farsi scegliere sono state sospese. Con variabile successo, siamo stati “tracciati” come i nostri conti correnti…
La tesi di questo libro è che a noi è capitato di vivere in ambienti che stimolano e sanno esaltare il cambiamento: le nostre società aperte. L’innovazione non arriva su ordinazione ma è il portato di una straordinaria e continua serie di esperimenti, “setacciati” dal libero mercato. Nella pandemia, l’idea, abbracciata da sempre dai nemici del commercio, che tutta questa generazione di informazione dal basso serva a ben poco ha raggiunto forse la sua massima espressione. Il giudizio di un ristrettissimo numero di esperti è stato imposto alla totalità della popolazione: va da sé, per il loro bene, sacrificando persino i tassi di apprendimento delle nuove generazioni. Non sono stati considerati i trade off, non ci sono state analisi costi-benefici.
Nel dibattito politico, ciò è stato possibile perché la politica ha schiacciato sull’acceleratore dell’emergenza. Ma è stato possibile schiacciare sull’acceleratore dell’emergenza perché a tutti, a cominciare dai più competenti e colti, è parso normale trattare un eco sistema (l’interazione delle società umane) come un grosso meccanismo, aggiustabile stringendo due bulloni. La retorica politica ha slabbrato qualsiasi limite all’azione dello Stato: siamo in guerra, si è detto. Sull’opportunità di affidarsi a una tecnocrazia neppure si è discusso: lo si è fatto, naturalmente, come se non vi fossero alternative praticabili. Anziché accettare, come facciamo nel mercato e nella scienza, che dal basso, dai tentativi ed errori, dalla vitalità della società potessero venire risposte, ci siamo arroccati nel fortilizio degli “esperti”.
Non è escluso che lo schema non venga presto riproposto, ovviamente per altre emergenze. Nuove decisioni imperative, dall’alto, ci attendono, per razionare questo o quel bene, questo o quel servizio, decidere di nuovo quali attività sono “essenziali” e quali no. La “transizione ecologica” si annuncia già come la prossima occasione per restrizioni, razionamenti, scelte tecnologiche imposte da pianificatori pretesi illuminati. Poco importa se poi è dal privato che vengono le soluzioni. Poco importa se i vaccini li fanno le case farmaceutiche, non importa se la nuova tecnologia a mRNA è il frutto del lavoro durato anni di ricercatori coraggiosi, non importa se i singoli imprenditori della ristorazione o del turismo sperimentano modalità di convivenza anche nella pandemia o se l’industria tessile si riconverte per fare mascherine e quella degli alcolici per fare igienizzanti. Poco importa se cammin facendo si è scoperto che molte attività “inessenziali” non lo erano affatto e ci si è affidati con slancio a soluzioni all’italiana: il dirigismo temperato dalle auto certificazioni.
Prevale la passione per l’illusione razionalista, la storia facile a raccontarsi del capo (o del suo moderno surrogato, lo Stato) che sceglie per tutti. Siamo di nuovo alla definizione che abbiamo dato da principio di capitalismo: il capitalismo è un sistema nel quale le decisioni sono prese in modo decentrato. A un ragazzo nato negli anni Duemila, si potrebbe anche dirlo in un’altra maniera. Il capitalismo è il contrario del lockdown.
da Il Secolo XIX, 6 maggio 2023