Sanità e autonomia: i cittadini restino al centro

Chi attacca la riforma teme che ne risentano le strutture al Sud


29 Gennaio 2024

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

La spesa pubblica dovrebbe servire a offrire dei servizi ai cittadini. Che poi, per farlo, debbano essere impiegate delle persone, ovvero pagati degli stipendi, è una conseguenza, non un obiettivo. Non tutti la pensano così. Sul ddl autonomia, per esempio, si è sviluppata una discussione che dovrebbe suscitare qualche perplessità. Dal punto di vista della spesa, non è detto che l’autonomia aiuti a tenerla in carreggiata: la definizione dei «livelli essenziali di protezione» (Lep) può in prospettiva aumentare i trasferimenti a vantaggio delle regioni del Sud, visto che i Lep saranno tarati sull’offerta di servizi delle regioni più ricche. 

I critici dell’autonomia puntano i fari sulla sanità e sostengono tre cose: negli atti d’iniziativa che le diverse regioni dovranno stipulare con lo Stato centrale per rivendicare nuovi poteri e competenze, quelle del Nord potrebbero chiedere di trattenere una parte maggiore delle imposte che vi sono versate. Si ridurrebbe il «residuo fiscale»: la differenza fra imposte versate e spesa pubblica erogata. Il Nord ha un residuo fiscale negativo, il Sud positivo. In secondo luogo, che queste risorse aggiuntive verrebbero canalizzate nella sanità, che è il grosso del bilancio delle regioni. In più, i poteri «autonomici» consentirebbero più margini di manovra su contratti e assunzioni, drenando i medici migliori.

In terza battuta, una sanità del Centronord più attrattiva e con più risorse a disposizione farebbe aumentare le migrazioni sanitarie, cioè il numero di pazienti che lascia la regione in cui vive per curarsi in un’altra. Questo fenomeno non è determinato soltanto dalla qualità del servizio ma anche da altri fattori: chi ha una patologia grave preferisce avere il conforto dei familiari. Ma, certo, anche la percezione di essere nelle mani di medici capaci conta: soprattutto quando si tratta di patologie gravi. Quando un malato si sposta, il finanziamento delle prestazioni erogate lo segue.

Negli ultimi anni, si è cercato di limitare il fenomeno delle migrazioni, definendo le tipologie di prestazioni per cui era possibile farsi curare fuori regione. La libertà di scelta del luogo di cura dovrebbe essere però un principio sul quale siamo tutti d’accordo. Allo stesso modo, tutti dovremmo sperare che un paziente venga curato là dove c’è maggiore speranza che il trattamento abbia esito positivo. Se riteniamo che la salute sia un diritto, e quindi che le cure debbano essere finanziate coattivamente dallo Stato, dovremmo anche convenire che ciascuno deve poter far valere quel diritto come ritiene.

Chi attacca l’autonomia teme il sottofinanziamento delle strutture ospedaliere al Sud e pensa che il valore della spesa pubblica stia nel mantenimento dell’offerta, non nella qualità del servizio erogato, nei risultati raggiunti, nella soddisfazione del paziente. Quest’ultimo diventa sostanzialmente irrilevante: conta il totem dell’Ssn, non la concretezza delle prestazioni erogate e del percorso dei pazienti. Le regioni del Nord, soprattutto la Lombardia, a torto o a ragione sono identificate con la componente non statale del sistema. Il privato vorrebbe guadagnare sui pazienti che vengono da altre regioni. 

L’organizzazione dell’Ssn è diversa nelle diverse regioni. Questo principio di buon senso risale alla legge Amato del ’94, prima ancora della riforma del Titolo quinto. Questa differenza non è un disvalore ma è una ricchezza. Dal fatto che abbiamo sistemi diversi per gestire lo stesso problema, possiamo imparare. L’offerta privata può essere ad alta o a bassa complessità. In Lombardia il privato non è solo cliniche ma anche ospedali che seguono qualsiasi patologia. Bisogna aver coraggio per sostenere che gli esiti sanitari siano peggiori che altrove.

Con che faccia si dice ai cittadini meridionali che non devono approfittare di quel servizio, perché devono restare a casa loro e tutelare il finanziamento dei loro ospedali? E se non ci si può spostare al suo interno, in che senso il sistema resta nazionale?

da L’Economia del Corriere della Sera, 29 gennaio 2024

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