Salario minimo, un boomerang per l'occupazione

Ue per il salario minimo, ma nel Mezzogiorno ci sono più disoccupati «cronici» che in tutta la Germania.

6 Giugno 2022

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Nella migliore delle ipotesi, la volontà dell’Unione di fissare obbligatoriamente in ogni Paese un salario minimo risulterà del tutto inutile, ma nella peggiore (ed è il caso più probabile) avrà conseguenze assai dannose. Molto dipenderà dal livello che sarà fissato in Italia, ma è già significativo che in Bulgaria il salario minimo mensile sia di 332 euro e in Lussemburgo di 2.257 euro. Se fosse sensato un salario minimo uguale per tutti a livello nazionale, perché non pure a livello europeo?

Sul piano giuridico questa idea muove da un’illusione nefasta e cioè dalla convinzione che una norma da sé possa ignorare la realtà, modificandola a proprio piacere. I legislatori, però, sono incapaci di compiere miracoli. Come ironizzò Bruno Leoni citando Shakespeare, nessun editto regale può far sì che in ogni pentola ci sia un pollo se il numero delle pentole è superiore a quello dei pennuti. Fuor di metafora, è la realtà economica e la produttività che, grazie all’incontro tra offerta e domanda, fanno emergere i salari corretti. Questo già aiuta a comprendere l’errore di ordine economico, dalle ricadute nefaste, conseguente all’imposizione di retribuzioni troppo alte. Ne può solo discendere, infatti, che lavoratori a bassa produttività si trovino disoccupati o finiscano in mano a organizzazioni malavitose. Non si parla di qualcosa di ipotetico. L’America stessa sperimenta tutto ciò da decenni, dato che a ogni innalzamento del salario minimo corrisponde un incremento della disoccupazione proprio tra i gruppi più deboli: tra quanti sono arrivati negli Usa di recente oppure sono giovani e non qualificati.

Una legge non basta a migliorare le condizioni dei più deboli. Invece che adottare queste logiche populiste, quanti ci governano dovrebbero intervenire sul cuneo fiscale (il prelievo tributario e previdenziale), alzando i salari reali grazie a un ritrarsi della spesa pubblica. Questo, però, è esattamente ciò che molti politici non vogliono affatto. Il vero conflitto, allora, non è tra imprese e lavoratori, ma tra chi produce e vuole vivere del suo e quanti, invece, controllano la ricchezza generata da altri. Per giunta, se saremo obbligati a seguire questa strada, a pagare il prezzo più alto una volta di più sarà il Meridione. Già ora l’economia del Sud patisce contratti nazionali inadeguati alla produttività locale e che quindi generano, al tempo stesso, un’alta disoccupazione e una massiccia diffusione del lavoro nero. L’introduzione del minimo salariale aggraverebbe una situazione già compromessa.

Il guaio di fondo è che ormai si è persa la consapevolezza che bisogna riconoscere a tutti la facoltà di contrattare liberamente: senza imporre alcunché e inibire liberi accordi. Al tempo stesso, manca nei più la consapevolezza del ruolo che i prezzi devono giocare, affinché ogni attore economico (imprenditore, lavoratore, consumatore) possa agire nel modo più razionale.

da Il Giornale, 6 giugno 2022

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