Tutti i rischi del debito comune

Il progetto dell'eurobond intende rappresentare un altro passo verso un'Europa centralizzata

21 Ottobre 2022

Corriere del Ticino

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Dinanzi ai rigori dell’inverno che si avvicina (con previsioni per il 2023 che vedono taluni Paesi tra cui Germania e Italia in recessione tecnica) nell’Unione europea si ipotizza di puntare su un debito comune europeo, che permetta di disporre di ulteriori risorse pubbliche evitando soluzioni nazionali e non coordinate. Stavolta l’argomento usato è la crisi energetica, ma l’idea di un debito condiviso tra tutti gli abitanti dell’Unione viene da lontano.

Nell’emergenza attuale chi ha riportato al centro della discussione l’ipotesi degli eurobond è stata Christine Lagarde. A fine settembre, infatti, la presidente della BCE si è detta persuasa che l’Unione europea dovrebbe emulare gli Stati Uniti (come se la UE fosse già uno Stato o dovesse esserlo in futuro), ma ha pure aggiunto che una tale decisione non dipende da Francoforte. In effetti, si tratterebbe di una scelta altamente politica, con pesanti implicazioni sulla natura stessa delle istituzioni europee.

La riflessione sviluppata dai fautori di un debito comune muove dalla tesi che invece di avere tanti bond diversi, esposti agli alti e bassi del mercato e della speculazione, sarebbe preferibile un unico bond europeo, con un interesse moderato e con ben maggiore stabilità. Dietro a tutto questo, però, si celano molti rischi e alcuni ben precisi interessi. Non a caso, il progetto dei bond europei è sostenuto soprattutto dai membri del cosiddetto ClubMed (Italia, Spagna, Grecia, ma pure la Francia), che legittimamente ritengono di ricavare un considerevole beneficio dalla possibilità di condividere il debito con il resto d’Europa, potendo in tal modo disporre di altre risorse grazie alla credibilità dei partner più virtuosi e meno esposti finanziariamente. Di converso, però, è proprio nelle capitali del Nord Europa che s’incontrano le maggiori perplessità dinanzi all’ipotesi avanzata dalla Lagarde.

Già oggi l’Europa è in larga misura un’istituzione che attua politiche redistributive, le quali tendono ad avvantaggiare le cicale e penalizzare le formiche (basti guardare a quanto è difficile alzare i tassi d’interesse per difendere l’euro, e questo perché si devono proteggere gli Stati più indebitati), ma tutto questo sarebbe ancor più accentuato con l’emissione di un debito comunitario. I Paesi più virtuosi sanno bene che sarebbero sempre più chiamati a pagare i conti di quelli gestiti peggio, e dunque s’oppongono in linea di massima a questa prospettiva. Se i Paesi più ricchi e meglio amministrati fanno ostruzione perché non vogliono pagare il conto degli altri, pure i Paesi più poveri dovrebbero valutare criticamente l’ipotesi di un’Europa che adotti logiche assistenziali. Se nessuna forma di redistribuzione politica e nessun parassitismo istituzionalizzato hanno mai favorito lo sviluppo dell’economia (che invece ha luogo dove vigono competizione e responsabilità), non si capisce perché mai un Sud Europa sovvenzionato dal resto del continente dovrebbe andare incontro a un destino di prosperità.

Oltre a ciò, il debito comune accrescerebbe le tensioni tra le diverse economie del Vecchio continente e, cosa egualmente molto negativa, incrementerebbe l’indebitamento complessivo delle istituzioni in Europa, quando invece c’è proprio bisogno di cambiare rotta: in primo luogo perché è immorale che ci si possa indebitare per gli altri e pure per le generazioni a venire; e in secondo luogo perché l’espansione dell’indebitamento arrecherebbe ulteriori difficoltà a economie che già adesso stanno arrancando.

Sullo sfondo vi è poi una questione politica che non può essere tralasciata. Così come fu con la creazione dell’euro, il progetto dell’eurobond ha un valore politico ben preciso e intende rappresentare un altro passo verso un’Europa centralizzata e, in prospettiva, verso uno Stato unico europeo. Un disegno ben poco coerente con la migliore storia europea e destinato a restringere gli spazi di libertà.

dal Corriere del Ticino, 21 ottobre 2022

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