Ridurre i mezzi privati, un limite alla libertà

Uno studio di due ricercatori svedesi esamina le strategie politiche per limitare il ricorso all'uso di autovetture

8 Ottobre 2023

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Ambiente e Energia Teoria e scienze sociali

A dispetto delle passioni che suscita in molti, non è detto che la vecchia automobile abbia ancora un futuro, dato che ormai è finita nel mirino di politici, uomini d’affari e intellettuali, che intendono addebitare al trasporto privato una gran parte dei problemi del nostro tempo. 

In una recente ricerca condotta da due ricercatrici dell’università di Lund, Paula Kuss e Kimberly Nicholas, sono state esaminate le strategie politiche per limitare il ricorso all’uso di autovetture. Il punto di partenza dello studio, quindi, è che il numero delle automobili deve essere ridotto quanto più sia possibile; si tratta solo di vedere in che modo. Questo spiega la gran quantità di imposte e balzelli che gravano su chi ha una macchina, ma anche le Ztl dei centri storici e quei progetti di “smart cities” che – di fatto – puntano ad affrancarci dalle quattroruote.
 
La stessa soluzione delle auto elettriche (costose, inquinanti nella fase di produzione e smaltimento, dotate di una limitata autonomia, bisognose di impianti per la ricarica che ora non ci sono e difficilmente vi saranno tra pochi anni) sembra proprio puntare a un cambio di paradigma: passando dal trasporto individuale a uno basato sui mezzi pubblici. Il motore alimentato da idrocarburi è insomma sul banco degli imputati: non soltanto perché inquina, ma anche perché contribuirebbe alla produzione di anidride carbonica e quindi – a detta di quanti sposano la tesi di un’origine antropica del “global warming” – all’aumento della temperatura globale. 

In effetti, l’architettura delle proposte avanzate contro le automobili poggia sulle paure alimentate dal riscaldamento globale e dalla ideologizzazione del problema. Per molti, d’altra parte, ogni valore dovrebbe essere sacrificato sull’altare della riduzione della CO2 ed entro quella visione la stessa libertà umana non meriterebbe troppa considerazione. Ma com’è possibile passare a un mondo senza automobili, proprio ora che tante famiglie ne dispongono due o addirittura tre? 

Secondo taluni, l’eliminazione progressiva degli automezzi privati può venire da un potenziamento dei mezzi di trasporto conseguente a enormi investimenti statali. Non è detto, però, che simili infrastrutture debbano essere necessariamente statali, dal momento che l’interventismo degli appalti solitamente unisce dirigismo pubblico e privatissimi affari, una minuziosa pianificazione del territorio e un ampio coinvolgimento dei capitali finanziari. 

Negli scorsi mesi il chiacchierato World Economic Forum di Klaus Schwab ha reso pubblico un rapporto secondo cui l’insieme delle politiche adottate potrebbe portare alla scomparsa del 75% delle automobili. Il libro bianco, “Benchmarking the Transition to Sustainable Urban Mobility”, interpreta una prospettiva tecnocratica che unisce ideologia e interessi: una visione dell’uomo quale soggetto da gestire e indirizzare, secondo logiche ingegneristiche e la promozione di opportunità formidabili per quanti dispongono del potere politico e per i loro migliori amici immersi nel business. 

Questa politica che vuole moltiplicare treni e metropolitane comporta, naturalmente, costi assai elevati, ma il fatto che le risorse vengano dal contribuente aiuta a evitare ogni analisi costi-benefici. Chi paga, alla fine, è il contribuente e questo permette ai governanti di agire senza troppi vincoli. Per giunta, la volontà di contrastare le scelte che tanti spontaneamente hanno fatto in questi anni (premiando un bene come l’automobile) finirà per imporre disagi e, soprattutto, tempi di trasferimento più alti. 

Dobbiamo però essere consapevoli che un ceto dirigente abituato a privarci di larga parte della nostra ricchezza non ha alcun problema, in linea di massima, a sottrarci una parte significativa del nostro tempo. Nel declino dell’automobile c’è comunque anche molto altro. La rottamazione delle vetture così cruciali negli anni del boom è resa possibile dal venir meno di una certa idea d’individuo libero. A lungo e fino a ora, disporre di un proprio mezzo di trasporto ha significato poter godere di una grande libertà di movimento. 

La società programmata che si profila all’orizzonte tra sorveglianza di massa, denaro digitale, compressione dell’autonomia di cura e declino della privacy non è compatibile con la libertà di chi si alza al mattino, prende la propria auto e decide di andare dove meglio crede: per lavorare, visitare altre città, incontrare parenti e amici. In questo senso non è un caso che i progetti più dirigisti e illiberali includano sia una progressiva cancellazione della proprietà delle case (che secondo taluni dovrebbero tutte essere possedute da grandi imprese pubbliche-private, così da agevolare lo spostamento dei lavoratori dove c’è più richiesta), sia una sostituzione del trasporto privato conforme sempre più collettive. 

Chi avversa la libertà individuale detesta, ovviamente, che chiunque possa spostarsi con facilità, né bisogna dimenticare che l’autonomia personale si perde sempre un pezzo alla volta. La collettivizzazione dei trasporti e delle abitazioni, per giunta, è solo l’ultima fase di un’espansione del welfare State che ha già sottratto a individui e famiglie quasi ogni controllo su scuola, sanità e previdenza. Oggi non possiamo dire se il mondo senza automobili prospettato da taluni si realizzerà o meno. È già triste constatare, però, che non sia affatto un’ipotesi campata per aria: a dispetto delle difficoltà che finirebbe per sollevare.

da La Provincia, 7 ottobre 2023

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