Superindice IBL – Nota di aggiornamento N. 10

Il governo italiano si illude di trovare alleati “sovranisti” per allentare i vincoli di bilancio?


18 Giugno 2019

Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Teoria e scienze sociali

Paolo Belardinelli

Research fellow IBL e fellow London School of Economics

Nicola Rossi

Le elezioni europee del mese di maggio non hanno forse consegnato ai popoli “sovranisti” europei tanti seggi quanti ci si potevano attendere alla vigilia delle elezioni (diversamente da quanto accaduto nel nostro Paese, dove i risultati sono stati in linea con le aspettative, se non oltre). Nondimeno, nel nuovo Parlamento europeo si è affermata una rappresentanza sovranista certamente significativa. E quindi attendiamoci che nell’aula di Strasburgo risuonino con forza le parole: “prima gli slovacchi!”, “prima i cechi!” e così via. Ma al di là di una rivendicazione di principio della “difesa o [della] riconquista della sovranità nazionale …, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione” (per citare la definizione che del sovranismo dà l’Enciclopedia Treccani) c’è nulla che possa – dal punto di vista economico – essere considerato come una identità condivisa dei paesi europei a guida sovranista?

Il Superindice dell’Istituto Bruno Leoni computato sulla base delle ultime rilevazioni macroeconomiche della Commissione Europea (maggio 2019),[1] ci fornisce una traccia forse utile per una, certamente parziale, risposta. Come si ricorderà il Superindice fornisce una misura sintetica della distanza fra la configurazione macroeconomica dei singoli paese e quella media dell’Eurozona o della UE (intendendosi per configurazione macroeconomica la combinazione di crescita, disoccupazione, disavanzo pubblico, debito pubblico e competitività prevalente in un dato istante di tempo). Il Superindice assume valore zero quando la configurazione macroeconomica del singolo paese e quella media dell’Eurozona o della UE coincidono. Diversamente tende ad assumere valori positivi e crescenti al crescere della distanza fra il quadro macro nazionale e quello medio dell’area.

Ebbene, almeno sotto il profilo macroeconomico, l’indicazione è netta. Che si tratti di paesi a guida sovranista che adottano l’euro (Austria – un po’ meno da qualche giorno – e Slovacchia) o che invece ne sono fuori (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia) la tendenza è evidente: a valle della crisi globale ognuno di questi paesi ha preso una direzione di marcia intesa a restringere le distanze rispetto alla media dell’area. Più che “prima gli austriaci!” o “prima gli ungheresi!”, la parola d’ordine è stata “come gli europei!”. Chi aveva aderito all’area dell’euro ha compreso immediatamente che, in assenza di altri meccanismi di riequilibrio, la stabilità di un’area valutaria comune poggia su finanze pubbliche in ordine e su una progressiva attenuazione degli squilibri macroeconomici interni all’area. Chi aveva invece scelto di rimanere fuori dalla valuta comune ha intuito che puntare sulla competitività (anche grazie ai trasferimenti legati alle politiche di coesione) in un contesto di disciplina finanziaria avrebbe dato frutti in termini di crescita e di occupazione. Sovranisti sì, quindi, ma non fino al punto di darsi la zappa sui piedi.

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Rispetto a queste tendenze, il sovranismo italiano appare assolutamente sui generis e capace di prendere una strada del tutto diversa e fino ad oggi anche unica nel panorama del sovranismo europeo. A partire dal 2018 la distanza macroeconomica (in essere e attesa) fra l’Italia e la media dell’Eurozona e della UE cresce, infatti, a ritmi sostenuti superando nettamente i livelli già molto elevati registrati nel 2011. Facendo dell’Italia il paese deviante per eccellenza tanto nell’area dell’euro quanto nell’Unione. Bisogna riconoscere che non si tratta di una novità: la tendenza ad allontanarci progressivamente dal comportamento medio dei nostri partner europei è chiaramente evidente fin dal 2014. Il che lascia supporre che il sovranismo italiano abbia, in realtà, ben pochi punti di contatto con il sovranismo prevalente altrove in Europa. Per dirla con Flaiano, sia un sovranismo “grave, ma non serio”. All’italiana. Niente altro, in realtà, che un atteggiamento dietro il quale si nascondono – di volta in volta e in diverse incarnazioni politiche – una relativa indifferenza rispetto agli squilibri macroeconomici, un marcato disinteresse rispetto ad ogni ipotesi di disciplina finanziaria, una insensibilità tutt’altro che nuova rispetto alle conseguenze di medio-lungo periodo delle scelte di breve periodo. Sovranisti sì, insomma, ma con il portafoglio degli altri.

È facile prevedere che, come accade ormai da anni, l’Italia immagini di affrontare le questioni poste dalla sessione di bilancio chiedendo, in buona sostanza, un allentamento dei vincoli europei. Per la verità, più che di una previsione si tratta di una certezza. Quel che il Superindice ci segnala è che su questa strada l’Italia troverà – non a caso – l’opposizione più ferma di chi entro quei vincoli (e non, come ci viene raccontato, fuori da essi) ha costruito un percorso macroeconomico che ha generato occupazione e crescita (associandovi, purtroppo, comportamenti istituzionali che non molto hanno a che spartire con i valori fondanti dell’Unione). Una opposizione che non avrà radici ideologiche ma che nascerà da considerazioni più semplici: comportamenti devianti come quelli italiani non sono nell’interesse degli austriaci, degli slovacchi, dei cechi, degli ungheresi, dei polacchi. Salvo che non si ponga la questione nei termini utilizzati di recente con grande schiettezza dal leader dei sovranisti olandesi Geert Wilders: “Io penso che l’Italia possa fare al suo interno quel che vuole. E comunque non sarò io a pagare per i vostri problemi”. Traduzione: quella è la porta. Accomodatevi pure.

[1] Per la banca dati annuale della Direzione Generale Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea (Ameco), si veda http://ec.europa.eu/economy_finance/db_indicators/ameco/index_en.htm.

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