La crisi delle edicole, tra calo dei ricavi e burocrazie

Liberalizzare, non sussidiare. Ma le Regioni potrebbero fare di più


Quando con il DPCM 11 marzo, emanato per contrastare la diffusione del Covid-19, il Governo ha deciso di esonerare dall’obbligo di chiusura le edicole, la reazione nell’opinione pubblica non è stata unanime. Alcuni si sono sorpresi per l’eccezione concessa alla stregua dei negozi alimentari, nonostante la diffusione della stampa – oggetto prevalente dell’attività di edicolante – possa anche essere garantita in via digitale.

Eppure l’emergenza Covid-19 ha avuto tra le tante conseguenze anche quella di aver rivitalizzato l’importanza delle edicole, dal punto di vista anche sociale e urbano.
In questi anni di profonda crisi del settore, per sostenere le edicole si è pensato soprattutto ad aiuti pubblici diretti o indiretti, più che altro in termini di agevolazioni fiscali, quando invece potrebbero essere rilevanti alcuni interventi di liberalizzazione e deregolazione sul prezzo di rivendita di quotidiani e periodici, sulla vendita di prodotti diversi e sulla destinazione d’uso dei chioschi.

A prescindere dalla fase pandemica e affinché le edicole possano in futuro sopravvivere, considerata l’irreversibilità della crisi della carta stampata rispetto alle tirature del passato, occorre ripensare interamente il concetto di punto vendita esclusivo, sulla cui base poggia l’intero impianto normativo. Si tratta di un retaggio di un’epoca in cui “avere la licenza” di edicolante rappresentava una buona rendita abbastanza sicura, tant’è che le cessioni fra privati avvenivano a peso d’oro.
I tempi sono cambiati ed i ricavi crollati. Trattare un’attività economica che rischia di scomparire come se fosse una privilegiata meritevole di limiti e vincoli regolatori, è sintomo di staticità anacronista.

Lo Stato si è dimostrato più attivo, soprattutto dal 2012 in poi, abbandonando alcuni tabù. Le Regioni, invece, potrebbero e dovrebbero fare molto di più, sfruttando il loro ambito di competenza.

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