Il governo ha promesso di abrogare la norma anti-flixbus, ma restano due nodi: la regolamentazione dell’economia digitale e l’allergia a concorrenza e liberalizzazioni
23 Febbraio 2017
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Politiche pubbliche
Giacomo Lev Mannheimer
Si è parlato molto, negli ultimi giorni, della norma anti-Flixbus: un emendamento al decreto Milleproroghe, presentato al Senato, che impedirebbe alla piattaforma di autobus low cost di operare in Italia, limitando il trasporto interregionale con autobus alle società che esercitino come “attività principale” il trasporto di passeggeri. Tale norma escluderebbe Flixbus, che invece non possiede autobus e non ha autisti alle proprie dipendenze, ma mette in contatto partner locali e clienti con la sua piattaforma web.
Il governo – su richiesta di diversi gruppi parlamentari, tra cui anche lo stesso che aveva presentato l’emendamento al Senato – si è impegnato ad abrogare la norma prima che questa diventi efficace nei confronti di Flixbus e delle società omologhe. Tuttavia, a prescindere dal destino di questa specifica norma, quanto è accaduto mette in luce due problemi di fondo, che prima o poi andranno risolti.
Il primo è che la politica, in tutta Europa, è complice dell’incertezza normativa, per non avere mai trovato il coraggio di prendere atto che le modalità di offerta dei beni e dei servizi, e i beni e i servizi stessi, cambiano nel tempo, e aver spesso giocato invece in difesa di uno status quo che non trova certo nella tutela dei consumatori la sua ragione d’essere. Il secondo è che la concorrenza, in Italia, viene quasi sempre accusata di essere “sleale”, a riprova della mancanza di comprensione degli effetti benefici sull’economia nel suo insieme generati dalla libertà economica e dall’innovazione.