Il ricatto inaccettabile delle piccole lobby

L'attenzione con cui il Capo dello Stato ha stigmatizzato la strategia delle proroghe per ambulanti e balneari


4 Gennaio 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

Come sa bene chi ci governa, ogni riforma, anche la più popolare, comporta un costo. Si tratta di un costo che potremmo definire genericamente politico, nel senso che è l’effetto di una valutazione non neutra di svantaggi e benefici. A seconda dell’orientamento politico, il calcolo, e quindi il risultato, cambia. C’è un aspetto di questo costo a cui i partiti tendono a dare un peso tale da raggiungere un valore ricattatorio: la perdita di consenso. E un aspetto connaturale al calcolo, ma se il valore dato alla perdita di consenso predomina e oscura ogni ulteriore analisi di costi e benefici, vuol dire che la classe politica ha scelto di lasciarsi governare, magari da minoranze rumorose, anziché governare. E’ quanto avviene da più di dieci anni con le categorie dei balneari e dei tassisti. 

Si tratta di due settori emblematici di come i partiti, trasversalmente, ritengano le riforme pro-concorrenziali un costo (di consenso) da evitare, anche laddove l’opinione pubblica sia ormai persuasa dei vantaggi di una maggiore concorrenzialità. Nell’ultimo Eurobarometro dedicato alla percezione dei cittadini europei in merito alla concorrenza, pubblicato nell’ottobre 2022, l’83% degli intervistati ritiene che la concorrenza dia più scelta ai consumatori e l’82% che incoraggi crescita economica e innovazione, mentre il 54% lamenta problemi come prezzi troppo alti o qualità bassa dovuti alla mancanza di concorrenza. Gli italiani, rispetto agli altri cittadini europei, sembrano meno entusiasti. Benché, infatti, la percentuale di risposte positive sia equivalente, essi mostrano una maggiore tiepidezza nelle motivazioni, ma nel complesso hanno una percezione degli effetti benefici della concorrenza pari agli altri cittadini europei. 

La letteratura economica e l’esperienza empirica dimostrano ormai pacificamente che le riforme pro-concorrenziali hanno un impatto positivo sulla crescita economica e sull’innovazione, che della prima è sempre più traino. Ciò è tanto più vero per i paesi come il nostro, gravati da un alto rapporto tra debito pubblico e Pil, e che quindi hanno un limitato spazio fiscale per stimolare l’economia. Ma la concorrenza non stimola solo l’economia. Contribuisce anche a garantire maggiore equità. Soprattutto laddove, come in Italia, non si può più fare affidamento sull’uso redistributivo della spesa e della tassazione perché non ci sono più soldi da spendere e tassare, una maggiore dinamicità dei mercati e un consolidamento delle regole concorrenziali comportano un più diffuso accesso ai beni e ai prodotti a condizioni migliori. 

In Italia, ne sono dimostrazione settori che hanno preso sul serio le liberalizzazioni, come quello delle telecomunicazioni, del gas e dell’energia elettrica, dei servizi postali. Tuttavia, se chi governa continua a fare melina sulla liberalizzazione di alcuni settori, vuol dire che c’è ancora una certa immaturità da un lato e condiscendenza dall’altro nell’affrontarne il costo politico. Anche per questo è rilevante la lettera che Mattarella ha inviato al Presidente Meloni e ai Presidenti delle Camere La Russa e Fontana, al di là delle sue dirette motivazioni e implicazioni. 

L’attenzione con cui il Capo dello Stato ha stigmatizzato la strategia delle proroghe per ambulanti e balneari, già oggetto, quest’ultimi, di una precedente missiva, potrebbe contribuire a spezzare il sortilegio da giorno della marmotta di cui anche l’opinione pubblica è preda da troppi anni in questi settori e in altri simili (leggasi trasporto pubblico non di linea). Mattarella ha lasciato intendere molto chiaramente di aver dovuto promulgare le norme sulle concessioni del commercio ambulante e su quelle demaniali marittime per rispettare gli impegni del PNRR. 

Il 31 dicembre, difatti, è scaduto il termine per l’approvazione del “pacchetto concorrenza 2022”. Un pacchetto nato male, con il governo Meloni che non aveva alcuna voglia di discuterlo, al punto da approvarlo in Consiglio dei ministri solo a luglio 2023. E un Parlamento altrettanto disattento, che ha cominciato a esaminare il disegno di legge solo a metà novembre. 

Le formalità, per ora, sono salve, almeno davanti alla Commissione europea. Ma la lettera di Mattarella indica chiaramente che il rispetto degli impegni presi si misura anche nel merito delle scelte politiche. Una delle principali perplessità del ricorso alla legge annuale della concorrenza riguarda proprio il rischio di dissimularvi all’interno norme anti-concorrenziali. Esattamente quanto è avvenuto con le regole transitorie per gli ambulanti e i balneari oggetto delle segnalazioni del Presidente della Repubblica. Ora che Mattarella ne ha fatto una questione di rispetto del diritto europeo e delle decisioni giurisdizionali definitive, e quindi di garanzia dell’ordine costituzionale, spetterà alla politica decidere se continuare a calcolare come costo politico il solo costo del consenso di alcune minoranze rumorose. 

da La Stampa, 4 gennaio 2024

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