Raymond Aron

L'Aron che Carrino ci restituisce è un pensatore affascinante: un liberale sui generis


8 Febbraio 2024

Il Foglio

Carlo Marsonet

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Raymond Aron (1905-1983) è stato un poliedrico e prolifico intellettuale francese. Si è occupato di filosofia e sociologia, di relazioni internazionali e di comparazione dei sistemi politici, sempre con un attento sguardo storico. Per lui, l’osservazione e lo studio di ciò che è vengono prima di qualsivoglia pretesa di cambiare l’esistente: la comprensione del reale, insomma, precede il processo riformatore. 

Profondamente influenzato dalla sociologia tedesca, studiata all’inizio degli anni Trenta durante un soggiorno tra Colonia e Berlino, Aron introiettò la lezione weberiana secondo la quale esistono più valori confliggenti. Da ciò discende quello che l’autore di questo saggio critico, Agostino Carrino, definisce “realismo liberale”. Detto altrimenti, Aron riteneva che, dato l’ineliminabile politeismo dei valori, ciò che va auspicata è la regolazione del conflitto. 

Esiste la libertà, ma anche l’eguaglianza. Pertanto, sono necessari accorgimenti istituzionali e costituzionali tali da limitare la possibilità di inasprimento dello scontro. Ben si comprende allora la critica al liberalismo di Friedrich von Hayek, concepito come dogmatico – “a causa dei suoi eccessi, s’indebolisce da sé”. Aron era dalla parte dell’austriaco – da tenere a mente il contesto in cui s’inseriscono entrambi: la Guerra fredda – e tuttavia gli rimproverava il fatto di andare alla ricerca di astratti ideali, anziché delle libertà al plurale possibili. 

Per Hayek, quando si parla di libertà si tratta di assenza di coercizione. Per Aron, un liberale pragmatico, la libertà deve comunque essere calata nel contesto storico-politico in cui sì situa. Di più, scriverà: “La libertà di scelta, quando si tratta del consumatore, dell’elettore, del credente, dell’intellettuale, interessa tutti gli uomini; quando si tratta del lavoro, interessa solo un piccolo numero di persone”. Assai evocativa, allora, risulta l’autodefinizione che lo stesso Aron si diede: “Un keynesiano con qualche rimpianto per il liberalismo”. 

Il francese considerava il welfare state come un utile strumento per attenuare le conseguenze del progresso e del mutamento. Sosteneva che andasse preso sul serio Karl Marx, uno degli autori che studiò per tutta la vita. Valutava le società moderne occidentali migliori, sebbene perfettibili, di quelle sperimentate in precedenza. Metteva in guardia dalla mentalità totalitaria e monistica degli intellettuali: “Gli uomini non hanno mai saputo la storia che stavano facendo, ma non la sanno neppure oggi. E’ bene pensare al futuro, ma non è bene crederlo prima che sia scritto”. 

Da Tocqueville, infine, trasse una concezione etica di libertà: questa necessita di un minimo di proprietà, ma è anche un tirocinio interiore che non finisce mai. L’Aron che Carrino ci restituisce è un pensatore affascinante: un liberale sui generis. E, proprio per questo, un liberale che va letto e meditato.

Agostino Carrino, RAYMOND ARON, IBL Libri, 172 pp., 14 euro

da Il Foglio, 8 febbraio 2024

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