Quel vizietto Pd di far la guerra all'Esselunga

Può sembrare una «non notizia» e in qualche modo è così. Benché da anni si denunci il modo in cui le amministrazioni di sinistra ostacolano la nascita di centri commerciali (eccezion fatta per le Coop loro amiche, naturalmente), in questi giorni a Genova si è alzato un vero e proprio fuoco di sbarramento contro il […]

14 Luglio 2016

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Può sembrare una «non notizia» e in qualche modo è così. Benché da anni si denunci il modo in cui le amministrazioni di sinistra ostacolano la nascita di centri commerciali (eccezion fatta per le Coop loro amiche, naturalmente), in questi giorni a Genova si è alzato un vero e proprio fuoco di sbarramento contro il progetto del gruppo Esselunga di aprire un supermercato in via Piave, ad Albaro, quartiere genovese collocato a Est del centro. Nelle scorse settimane la regione Liguria si era espressa positivamente in merito, ma ora tutto sembra tornare in alto mare.

Le argomentazioni usate sono le consuete e, al solito, risibili. Si sostiene che un nuovo punto vendita in quella posizione andrebbe a colpire il piccolo commercio, danneggerebbe la viabilità cittadina, altererebbe un delicato equilibrio tra botteghe e tessuto sociale. Il dato reale è uno solo: ed è che il Pd vuole impedire la nascita di un nuovo supermercato per tutelare, nei fatti, chi è già attivo. Siamo insomma di fronte a nuovo capitolo della guerra tra le Coop rosse e il gruppo guidato da Bernardo Caprotti, che alcuni anni fa fu perfino costretto a scrivere un libro-denuncia molto documentato (dal titolo Falce e carrello) in cui metteva a nudo le innumerevoli protezioni che in larga parte d’Italia (e specialmente in Liguria, Emilia Romagna, Toscana ecc.) la sinistra offre alle proprie imprese «di riferimento».

Il ricorso ad argomenti tecnici e falsamente neutrali per impedire all’Esselunga di entrare nel mercato è strumentale: basti vedere come sono distribuite, in Italia, i punti vendita di questo gruppo, che a Genova non ha neppure una presenza. Ed è scandaloso che s’impedisca a un’impresa di operare al meglio e ai consumatori liguri di scegliere dove fare i propri acquisti.

Siamo di fronte, è ovvio, all’ennesimo conflitto d’interesse, perché proprio la parte politica che ha sempre usato questo argomento contro i propri avversari, è ormai ogni giorno costretta a fare i conti con episodi come quello di Banca Etruria e di Mps. Ma oltre a ciò è chiaro come quanti ci governano manifestino, anche a livello locali, terribili limiti culturali. La pluridecennale avversione della sinistra postcomunista nei riguardi di Esselunga è figlia di una mentalità autoritaria, da società chiusa, oltre di una visione politicizzata dei rapporti economici. Quanti si sentono autorizzati a permettere e a negare l’apertura di un’attività, continuano a ignorare le basilari regole del diritto: a partire dall’eguaglianza di fronte alla legge. Ed è significato che a sinistra non si sia mai alzata una voce dissidente, a tutela della libertà di Caprotti a intraprendere, competere, creare posti di lavoro, moltiplicare la ricchezza.
Nella mentalità del nostro tempo, e specialmente nell’universo che si vuole «progressista», non c’è un vero riconoscimento per i diritti degli imprenditori e nemmeno per quelli dei consumatori.

Agli occhi di quanti ci amministrano, il mercato non può e non deve essere libero, ma deve invece essere sempre piegato ai progetti dei pianificatori e agli interessi dei gruppi più influenti.

Anche a costo di danneggiare tutti e aggravare una situazione già ora molto difficile.

Da Il Giornale, 14 luglio 2016

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