Quel nesso indissolubile e innegabile tra libertà e disuguaglianza

L'ultimo saggio di Nicola Porro stigmatizza i rischi del pensiero unico riscoprendo i più importanti pensatori liberali

14 Febbraio 2017

Corriere del Ticino

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Uno dei pregi del volume di Nicola Porro, La disuguaglianza fa bene. Manuale di sopravvivenza per un liberista, sta nel suo rappresentare una positiva provocazione nei riguardi dei luoghi comuni che dominano il dibattito contemporaneo. In un linguaggio piano e persuasivo, l’autore mette in evidenza le contraddizioni di quella cultura socialista (o post-socialista) che tende a utilizzare di continuo gli strumenti coercitivi della sovranità statuale per imporre i nuovi dogmi della solidarietà, dell’ambientalismo, dell’egualitarismo, del salutismo e di ogni altra ideologia politicamente corretta.

Porro è stato allievo di Antonio Martino prima di dedicarsi al giornalismo economico: assumendo sempre una prospettiva liberista. Il lettore è quindi spinto a leggere, o rileggere, classici del pensiero come Adam Smith e Thomas Jefferson, Carl Menger e Ludwig von Mises, Raymond Aron e Luigi Einaudi o come Pascal Salin, Jean Baechler, Sergio Ricossa o Ronald Coase. E quello che ne esce è il ritratto vivace di una cultura liberale ingiustamente marginalizzata e che oggi, dopo il crollo del comunismo dell’Est e il successivo sgretolarsi dei regimi socialdemocratici dell’Ovest, merita di essere riconsiderata con la massima attenzione.

Fin da giovane, Porro ha letto i romanzi di Ayn Rand. E quella confidenza con l’individualismo libertario traspare a più riprese in questo testo segnato da un’evidente intenzione polemica: fin dal titolo. In effetti, al giorno d’oggi, difendere la disuguaglianza significa esprimere un netto dissenso con le tesi di un economista à la page come Thomas Piketty, ma anche con quell’ampia schiera di personalità che esaltano di continuo le politiche governative volte a realizzare la massima uniformità di reddito e condizione sociale. Reagendo contro tutto ciò, Porro richiama le tesi già espresse da Milton e Rose Friedman in Liberi di scegliere e questo allo scopo di sottolineare come il mito egualitario che usa il potere per ridurre le diseguaglianze produca non soltanto risultati sfavorevoli ai più deboli (nel momento in cui ostacola lo sviluppo economico), ma anche come quella visione sia profondamente immorale, dato che nega il principio della libertà del singolo.

Il testo evidenzia con arguzia numerosi paradossi della cultura prevalente. Basti ricordare i passi in cui si ricorda l’obbligo per i bar, in Italia, di offrire lo zucchero solo in bustine, e non con zuccheriere. L’autoritarismo della legislazione salutista considera legittimo che qualcuno si sostituisca alla libera decisione dei baristi e dei loro clienti. Il guaio è che consumare zucchero unicamente in bustine sarà pure più igienico, ma non è ecologico, dato che ogni piccola confezione rappresenta un imballaggio, il quale esige energia per essere prodotto e comporta scarti inquinanti dopo l’uso. La religione salutista che abolisce le zuccheriere entra così in conflitto con la religione ecologista.

Queste considerazioni testimoniano un tratto caratteristico del volume: il suo voler andare oltre la superficie della retorica dominante, denunciando le incongruenze di un pensiero statalista di destra o di sinistra che rigetta l’economia di mercato, i diritti individuali, il pluralismo delle idee. E che è incapace di fare i conti con i limiti insuperabili dell’essere umano: volendo realizzare una sorta di paradiso in terra che, il più delle volte, si rivela un autentico inferno di costrizioni e irrazionalità.

Da Corriere del Ticino, 14 febbraio 2017

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