Quel frutto avvelenato chiamato golden power

L'imposizione dello strumento del golden power è il frutto avvelenato caduto dall'albero delle migliori intenzioni

29 Aprile 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

L’imposizione del golden power sull’offerta pubblica di Banco BPM da parte di UniCredit è il frutto avvelenato caduto dall’albero delle migliori intenzioni.

Nel 2012 il governo Monti, per proteggere un’economia debole e indebolita ulteriormente dalla crisi dei debiti sovrani e per chiudere una procedura di infrazione europea, approvò una disciplina restrittiva per l’uso di poteri pubblici di controllo su determinati asset strategici. Con questo strumento, il Governo avrebbe potuto, tra l’altro, vietare e condizionare acquisizioni di partecipazioni straniere ad aziende italiane nei settori di difesa e sicurezza nazionale, energia, trasporti e comunicazioni, anche senza esserne socio.

Nel 2017, il governo Gentiloni comincia a rafforzare lo strumento, estendendo l’esercizio dei poteri speciali al settore dell’alta tecnologia e ampliando i criteri discrezionali di controllo, in risposta specifica all’acquisizione di Tim da parte della francese Vivendi. Dopo l’inclusione nel 2019 delle reti di telecomunicazione, il governo Conte, come reazione alla pandemia, ha temporaneamente esteso l’ambito di applicazione anche ai settori di salute, agroalimentare e finanziario, incluso quello creditizio e assicurativo, obbligando la notifica anche degli acquisti di partecipazioni da parte di soggetti appartenenti all’Unione europea, compresi quelli residenti in Italia.

Nel 2022, l’esecutivo di Draghi ha stabilizzato il regime temporaneo e ha potenziato in via definitiva l’esercizio dei relativi poteri da parte della Presidenza del Consiglio.

Se ora il Governo Meloni ha potuto imporre una serie di rigide prescrizioni all’offerta di Unicredit, è proprio grazie a una graduale estensione della disciplina dei poteri speciali. Nata per proteggere infrastrutture critiche e aziende strategiche nazionali, qualsiasi cosa ciò voglia dire e implicare, essa si è trasformata nel più pervasivo strumento di controllo e influenza delle operazioni di mercato anche tra imprese italiane, come nel caso Unicredit-BPM. Un caso che, letto nei pochi dettagli fin qui noti, porta a tre considerazioni.

La prima riguarda la prevedibilità di quanto accaduto. L’esperienza italiana insegna che gli appetiti di controllo del governo sull’economia sono insaziabili e che le migliori intenzioni non bastano a frenarli. La graduale espansione del golden power rappresenta, oggi, l’esempio più evidente di questo rischio. Le relazioni annuali al Parlamento confermano un numero in costante crescita delle notifiche e, soprattutto, delle autorizzazioni condizionate.

La seconda considerazione riguarda invece la discrezionalità con cui il governo può decidere se e come applicare i poteri speciali, sulla base di concetti molto generici come interesse nazionale e settore strategico. Insieme alla notifica dell’offerta di UniCredit, sul tavolo sono finite altre tre operazioni bancarie che hanno ottenuto luce verde (MPS su Mediobanca, BPER su Banca popolare di Sondrio, Banco BPM su Anima). E probabile che la differenza di trattamento abbia fondate e solide ragioni. Peccato non poterne essere sicuri e potersi affidare solo a un concetto “virile” di interesse nazionale evocato dal ministro Giorgetti, dal momento che l’unica, stringatissima nota diffusa dal governo argomenta solo con la “tutela di interessi strategici per la sicurezza nazionale”.

La terza considerazione riguarda, infine, l’intromissione nella gestione degli affari di mercato. Ai tempi delle aziende pubbliche e partecipate, la proprietà o la partecipazione azionaria dello Stato costituivano almeno un elemento oggettivo, un discrimine utile a definire quali fossero le imprese e i settori di cui lo Stato poteva decidere le sorti. Ora, sull’uso di poteri di controllo così estesi e profondi anche in ambiti, come quello bancario, in cui l’esecutivo non ha nemmeno funzioni di vigilanza si stende un senso di imprevedibilità e persino arbitrarietà capace di far rimpiangere, anche ai meno nostalgici, le pericolose certezze dello Stato imprenditore.

oggi, 29 Aprile 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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