Quei burocrati di stato che soffocano l'intraprendenza. Anche a scuola

In un istituto superiore piemontese è stato sospeso uno studente-imprenditore: vendeva ai compagni merendine acquistate al supermercato

22 Novembre 2016

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Vendere snack ai compagni di classe, a un prezzo inferiore rispetto a quello dello spaccio scolastico, è agire in maniera ignobile? Pare di sì. E in effetti a Moncalieri, poco fuori Torino, uno studente diciassettenne è stato sospeso dalla scuola per avere ripetutamente comprato alcune merende al supermercato per poi venderle agli amici.

Secondo quanto raccontano i cronisti, sembra che il giovane abbia anche un certo fiuto degli affari e che nel tempo abbia imparato a rifornirsi dove questi prodotti sono meno costosi, riuscendo pure a farsi un’idea sempre più precisa dei gusti dei compagni. Un ragazzo s’ingegna per fare qualche soldo, si mette al servizio delle esigenze altrui e cosa ottiene in cambio? Una condanna. C’è davvero qualcosa che non va nella nostra scuola e nel sistema barocco di regole che abbiamo costruito attorno a noi.

Per il preside dell’Itis piemontese il comportamento imprenditoriale assunto dal giovane torinese sarebbe semplicemente disdicevole, dato che la scuola ha il compito di educare alla legalità. Ma cosa ci sarebbe di «criminale» nel vendere merende? La risposta è semplice: in Italia chiunque voglia commerciare deve avere licenze e autorizzazioni, e senza questi pezzi di carta perfino il comportamento più innocuo (e in grado di generare benefici sociali) va censurato.

Per giunta, ha aggiunto il dirigente scolastico, non ci sono garanzie in merito alla sicurezza alimentare e la scuola deve tutelare la salute dei ragazzi. Se le cose stessero così, però, bisognerebbe impedire anche di donare un sacchetto di patatine al compagno di banco. E allora risulta chiaro come sullo sfondo sia facile riconoscere l’antico pregiudizio contro il profitto imprenditoriale, contro lo spirito libertario, contro la logica capitalistica. Un’istruzione monopolizzata da burocrati di Stato può solo disprezzare chi, all’età di diciassette anni, preferisce la pratica del marketing allo studio dell’astronomia.

La stessa esaltazione della legalità in un caso come questo dovrebbe farci rabbrividire, dal momento che non c’è alcuna giustificazione (etica, economica o di altro tipo) nella proibizione a commerciare in assenza di un’autorizzazione di Stato. La scuola deve certo spiegare ai giovani com’è fatto il mondo e quanti lacci e lacciuoli intralciano la nostra vita, ma non necessariamente deve giustificare la costante aggressione ai diritti fondamentali: dal diritto di proprietà a quello di libera iniziativa. Venuto alcuni anni fa in Italia, l’economista bengalese Muhammad Yunus a cui si deve la fondazione del microcredito fu scandalizzato nello scoprire che da noi una donna vedova non può guadagnarsi da vivere vendendo torte, ad esempio, all’angolo della strada. E non può farlo perché non ha una licenza, né è in grado di garantire ai clienti l’etichettatura imposta dalle leggi (e questo anche se ai clienti della cosa non importa nulla!). Già sappiamo come giudicherebbe una scuola italiana che mira a soffocare ogni vocazione imprenditoriale.

Da Il Giornale, 22 novembre 2016

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