Quanto Pil perdiamo per colpa della lagna concertativa?

Carlo Stagnaro:"Dal 2011, l'impegno per la riforma del lavoro, tra tentativi e marce indietro, è pari a zero."

1 Aprile 2014

Il Foglio

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Alla voce crescita, nel Def, il Documento di economia e finanza da trasmettere a Bruxelles entro il 10 aprile, Matteo Renzi scriverà probabilmente uno 0,8 per cento. Previsione meno ottimistica di quella di Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni (1,1-1,2) ma per il capo del governo è meglio tenersi bassi anziché essere smentiti dai fatti, o ridicolizzati dalla Commissione europea come accadde all’ex ministro dell’Economia. Le previsioni sul pil 2014 consentirebbero di spingersi un po’ oltre, allo 0,9 per esempio. Ma che senso avrebbe riprendere il balletto dei decimali? D’altra parte quanto l’Italia crescerà nei prossimi mesi è oggi “cifrato” sul modesto lascito lettiano e sulla ripresa nel resto d’Europa, alla quale siamo al rimorchio: le previsioni della Commissione indicano nell’1,2 l’aumento medio del pil nell’Eurozona e il governo italiano e francese sono stati censurati per il fatto di essere in ritardo sulle riforme, mentre altri registrano performance a doppia cifra.
Ma che cosa accadrebbe se Renzi aprisse il turbo? Se per esempio mettesse mano alle due grandi aree d’intervento lavoro e Pubblica amministrazione rimaste neppure sfiorate tra quelle indicate nella lettera della Banca centrale europea del 2011? Carlo Stagnaro, direttore ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, ha analizzato lo stato d’attuazione di quegli impegni: “Sul lavoro tra tentativi e marce indietro è pari a zero. Quanto al pubblico impiego, la spesa è stata un po’ ridotta, ma solo per il blocco di turnover e scatti. In concreto abbiamo perso due anni”. Iniziare a recuperarli quanta crescita potrebbe valere? Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha dato un’indicazione fondamentale: “Si potrebbe realizzare un incremento del pii nominale vicino al tre per cento”. Una crescita costante intorno a due punti di pil, più l’inflazione, ci consentirebbe di evitare la mannaia del Fiscal compact. Naturalmente sindacati e Confindustria dovrebbero accettare di discutere (non concertare) di riforma del lavoro. Anche per i pubblici dipendenti. Visco si è attirato tuoni e fulmini dalle Confederazioni (“Parla a vanvera”), e della Confindustria. Ma resta, il suo, il più autorevole indizio su quanto può valere il turbo-Renzi. Un secondo indizio viene dall’azzeramento dei debiti della Pubblica amministrazione verso i privati, realizzato in maniera parziale da Letta (23 miliardi su 80-90 totali): secondo Gian Maria Gros-Pietro, economista industriale e presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, “se completato produrrebbe uno 0,9 di aumento del pil”. Oltre a evitare all’Italia la procedura d’infrazione avviata ieri dal commissario europeo all’impresa Antonio Tajani.

Mercato del lavoro, burocrazia pubblica e giustizia civile sono anche le tre cose che secondo il capo economista dí Goldman Sachs, Francesco Garzarelli, c’è da aspettarsi da Renzi: “E siccome l’Italia viene da due anni di recessione, avrà la variazione positiva maggiore, ben più della Spagna. Potrebbe essere la vera sorpresa d’Europa”. Ricapitolando, un punto in più di crescita dalle due riforme strutturali indicate da Visco; un altro stimato da Gros-Pietro. Il triplo di quanto preventivato da Letta. E con il consolidamento fiscale fatto, merito questo dei governi precedenti. Parole, come dicono gli antipatizzanti e gli allarmati democratici permanenti? Forse è utile guardare a ciò che è accaduto quando sono state fatte le stesse cose altrove. La Germania, “grande malata d’Europa” a cavallo degli anni Duemila, riformò lavoro e spesa pubblica ricavando nel 2004-2008 una crescita stabile del 2 per cento, il doppio del quadriennio precedente. Mentre nella grande crisi ha avuto solo un anno di recessione, il 2009, poi recuperato con gli interessi.

Già dalla fine degli anni 90, d’altronde, sindacati e imprenditori tedeschi fecero la loro parte, sfruttando la contrattazione aziendale senza attendersi un aiutino da Berlino. La Francia, inadempiente come l’Italia sul lavoro e sul settore pubblico, che negli anni Novanta era più avanti della Germania, si è fatta sorpassare già a metà dei Duemila, ha vissuto in pieno la recessione, e oggi si candida lei come grande malata d’Europa. Basta?

Da Il Foglio, 1 aprile 2014

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