Quando "uno vale uno" la civiltà entra in crisi

Lo dimostra il vecchio Paneroni

20 Giugno 2018

Il Foglio

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il nostro tempo è caratterizzato non solo dall’avvento del populismo in politica. Oltre a ciò, si va assistendo al rigetto di ogni autorevolezza in ambito scientifico. E quindi c’è ora chi contesta l’utilità dei vaccini, chi dà fiducia a strani complotti in materia di scie chimiche, chi pensa che il mais transgenico ci avveleni, chi attribuisce i terremoti alle trivellazioni petrolifere, e via dicendo.

Non c’è comunque nulla di nuovo sotto il sole. Basti ricordare Giovanni Paneroni, un gelataio della provincia di Brescia che un secolo fa girava l’Italia per diffondere una sua assurda teoria astronomica, lontana dalle tesi prevalenti. Quando era giovane aveva sentito, a scuola, che la terra e la luna ruotano attorno al sole. Osservando la volta celeste si era però persuaso che il nostro pianeta sarebbe immobile e piatto, con una superficie senza limiti. A partire da qui elaborò un’astronomia del tutto alternativa, che tra le altre cose descriveva il sole come una sfera d’argento del peso di circa 14 chili. Paneroni divenne famoso, anche per la maniera appassionata con cui sosteneva le sue teorie. In innumerevoli pubblicazioni e anche sui muri delle città, egli amava sintetizzare in tal modo la sua visione: “Paneroni da solo fermò la Terra, indi spedì Galileo al suo destino. La Terra non gira, o bestie!”. Probabilmente non si rese mai conto di quello che diceva. Un giorno prese anche la parola, in occasione di un convegno internazionale di astronomia tenutosi a Genova, e propose un metodo tanto semplice quanto efficace per misurare quanto la terra dista dal sole: “Si prendono alcuni tubi, vi si infilano i raggi e poi non resterà che misurare la lunghezza dei tubi”.

Non tanto le sue tesi quanto il modo in cui le andava proponendo hanno fatto sì che Paneroni sia finito più volte in carcere. Queste pene gli furono inflitte perché imbrattava i muri con scritte offensive verso questo o quel cattedratico, disturbava le riunioni scientifiche e distribuiva opuscoli autopubblicati abusivamente. Fu anche tenuto nel manicomio di Roma dal maggio all’agosto del 1938, nonostante non sembrasse avere particolari disturbi psichici.

Del tutto evidentemente, questo curioso contestatore delle tesi più accreditate della fisica moderna era dominato da un smisurato desiderio di notorietà. Non a caso egli fu anche al centro di spettacoli di vario genere in numerose città.

Proprio grazie a queste performance a un certo punto la sua notorietà fu rilevante, specie tra le due guerre. Si trattava, però, dell’attenzione che si riserva a un eccentrico, se non addirittura a uno squilibrato. Fu oggetto di varie ironie e quando, dopo la morte nel 1950, il suo nome venne talora evocato fu essenzialmente per ridere un po’ alle sue spalle. Negli anni in cui la Lega lombarda mosse i suoi primi passi, Mino Martinazzoli – che non a caso era bresciano – parlò di Umberto Bossi come del “Paneroni della politica”. Ed è chiaro come in quella formula non vi fosse alcuna intenzione elogiativa.

Ripercorrere quella vicenda, oggi, significa misurare la distanza che è stata percorsa: significa percepire con nettezza come i tempi sono cambiati. Si ha come la sensazione che il fallimento dei politici di professione, che ha aperto la strada a questa nuova classe dirigente quanto mai sprovveduta, abbia travolto con sé anche l’autorevolezza degli scienziati. Quando “uno vale uno”, l’opinione di un gelataio può valere come quella di un fisico, le convinzioni in materia medica di un genitore che lotta per aiutare il figlio possono essere messe sullo stesso livello delle conoscenze di chi ha dedicato anni di studio al tema nei centri di ricerca più accreditati.

La scienza ha bisogno di libertà e in una società aperta si possono poter incontrare dieci, cento, mille Paneroni. Scienza e libertà, però, difficilmente possono convivere con una visione egualitaria e relativista quale è quella che sembra dominare la società contemporanea. Quando “uno vale uno”, è la civiltà stessa che entra in crisi.

da Il Foglio, 20 giugno 2018

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