Quando i creativi comuni italiani riempirono il mondo di cambiali

Tremila anni di storia, da Babilonia alla crisi del 2007-2008: come coniugare il commercio con le incognite del futuro

30 Ottobre 2017

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Larry Neal, Storia della finanza internazionale, dalle origini fino ad oggi, Il Mulino

Perché esiste la finanza? Perché esiste il tempo. Sono necessarie iniziative particolari per consentire «il commercio su lunghe distanze e gli asset produttivi di lunga durata».

L’una e l’altra cosa «richiedono una qualche forma di finanziamento che colmi il divario temporale tra quando viene raggiunto un accordo su una transazione e quando si verifica l’effettiva consegna, o quando la struttura viene ultimata». Lo scambio si proietta nel futuro: quando le merci arriveranno a destinazione, quando un nuovo macchinario verrà finalmente utilizzato. Le grandi invenzioni finanziarie allargano i circuiti degli scambi, ampliano la divisione del lavoro, collegano Paesi e generazioni.
Aiutano le transazioni impersonali, fra estranei: la fiducia consente le compravendite si espande oltre il circolo della conoscenza diretta fra controparti.

È proprio per questa ragione, per le dimensioni del tempo e dell’incertezza, che Larry Neal, nella sua Storia della finanza internazionale, legge le crisi come rivelatrici di problemi «coordinamento delle innovazioni finanziarie tra banche, mercati e governi». L’attività di anticipare denaro è antica quanto il mondo, i governi ne hanno sempre avuto bisogno, stimolando la creatività degli imprenditori del ramo. I prestiti vincono le guerre. Già nel Settecento, «un calo iniziale del prezzo dei titoli britannici e la prospettiva di un loro aumento finale in caso di conclusione positiva della guerra incentivava i finanzieri olandesi ad acquistare titoli inglesi all’inizio di un conflitto e a venderli poi alla sua conclusione». La lezione fu messa a frutto nelle guerre napoleoniche, vinte dal governo inglese che si finanziava coi debiti contro quello francese che sperava di pagare i conti con le razzie.

Persino nel conflitto fra Nord e Sud, negli Stati Uniti vi fu una «innovativa emissione obbligazionaria» da parte della Confederazione: un warrant convertibile in un prezzo fisso del cotone da prelevarsi nel Sud a spese del compratore.

Spiega Neal che «il prezzo per balla divenne sempre più allettante a causa dell’impennata sul mercato di Liverpool del prezzo del cotone proveniente da fonti alternative come l’Egitto, l’India o il Brasile».

Ma i governi non sono stati solo beneficiari dell’evoluzione finanziaria: ne sono anche i regolatori. «La verità è il sale della vita» e tuttavia la produzione di novità, in finanza, è talora ritenuta «eccessiva». C’è il problema dell’azzardo morale, ovvero della presa di rischi incoraggiata dalla prospettiva di un «salvataggio» pubblico al momento opportuno. E c’è la questione dell’informazione asimmetrica, «sempre presente nei mercati finanziari», ovvero dello squilibrio di conoscenze fra chi acquista e chi offre un certo prodotto. Questi fattori complicano il coordinamento fra comportamento dei privati e politiche pubbliche, queste ultime non prive di condizionamenti: vuoi perché c’è un obiettivo da perseguire (per esempio, il finanziamento della diffusione della proprietà immobiliare), vuoi perché subiscono l’influenza di determinati operatori.

Il libro di Neal vuole essere anche un antidoto al vasto sentimento anti-finanziario, all’idea per la quale tanto varrebbe proibire quel che sfugge alla comprensione del singolo cittadino, cioè proibire tutto.

Racconta una storia complessa, che comincia nella città di Uruk, che passa per il commercio assiro e babilonese dove per la prima volta si usa l’argento come standard per accordarsi sulle quantità cedute e acquistate, che nelle città stato greche vede lo sviluppo di un mezzo di pagamento da barattare agevolmente con merci e servizi da utilizzare come unità di conto. E’ una storia nella quale una parte non da poco la giocano i mercanti e i Comuni italiani, con la cambiale tratta internazionale (bill of exchange) che riuscì a «trasformare lo scambio che avveniva in via personale tra individui residenti in luoghi diversi ma uniti da legami multipli di reciproca interazione in uno scambio impersonale tra partner commerciali separati da distanza, religione, cultura e regimi giuridici».

Il libro di Nael suggerisce che, se le crisi finanziarie nascono da problemi di coordinamento, il più delle volte «la soluzione si presenta causalmente». L’innovazione finanziaria toglie ma pure dà. Invece spesso «i legislatori agiscono prima di poter disporre di un’analisi completa della crisi in atto».

Le conseguenze inintenzionali pesano talora più di quelle attese. Uno dei frutti più apprezzati dal New Deal è la separazione fra banche d’affari e banche d’investimento, superarla, a detta di molti, ha innescato la crisi del 2007-2008. Tuttavia, nel mentre proteggeva «i piccoli risparmiatori» a scapito dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, le conseguenze involontarie del Grass-Steagall Act furono di limitare l’ulteriore innovazione tecnologica e di prolungare gli alti livelli di disoccupazione».
In un libro in cui l’autore lascia a briglia sciolta la propria curiosità, c’è spazio per tesi che faranno discutere, non ce n’è più per i luoghi comuni.

Da Tuttolibri, La Stampa, 28 ottobre 2017

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