La protesta delle tende e lo Stato-mamma

Occorre uscire da quella logica che pretende che ogni desiderio si converta in un diritto

15 Maggio 2023

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Diritto e Regolamentazione Teoria e scienze sociali

Da qualche giorno il dibattito pubblico è in larga misura dominato dalle proteste di quegli studenti universitari che si lamentano per il “caro affitti”. La contestazione ha preso il via a Milano, indubbiamente la città italiana più costosa, e poi si è estesa anche ad altri centri. Qualche settore della politica sta provando a cavalcare il fenomeno e lo stesso governo Meloni ha già annunciato iniziative, a spese dei contribuenti, per venire incontro alle esigenze dei ragazzi. 

Il problema è reale, perché a Milano oppure a Roma prendere in locazione un appartamento è molto oneroso, ma colpisce il semplicismo delle proposte degli studenti universitari e anche di quei politici che ne lisciano il pelo. Sarebbe bene, invece, che i giovani – proprio nel periodo in cui si formano sul piano delle competenze – fossero anche aiutati a crescere dal punto di vista umano e morale, imparando a ragionare lontano dai luoghi comuni e smettendola di avanzare pretese assurde: a partire da quella di entrare in casa d’altri decidendo quale sarà il canone da versare. 

Qualche opinionista ha rilevato che, quando era giovane, chi stava a Lodi oppure a Saronno non pensava di cercare una stanza nel capoluogo; questo avviene spesso anche ora. Questo vuol dire che anche chi proviene da un’altra regione, se fatica a trovare una camera a buon mercato sotto la Madonnina, può benissimo piazzarsi a venti o trenta chilometri dalla città: dove tutto è più economico. Accettare una simile prospettiva, però, significa uscire da quella logica che pretende che ogni desiderio si converta in un diritto. 

D’altra parte, i giovani nelle tende non protestano perché molti loro coetanei non possono per nulla studiare, in quanto le famiglie non sono in grado di sostenerli negli anni dell’università. Né chiedono che vengano attivati quei corsi serali per studenti-lavoratori che invece quarant’anni fa gli atenei offrivano. Essi hanno la fortuna di avere una famiglia benestante alle spalle e vorrebbero soluzioni migliori per loro. Esigono privilegi e non certo si preoccupano di quanti stanno assai meno bene. Non c’è allora nessuno che fa qualcosa per i giovani con meno risorse? 

In realtà, una soluzione esiste ed è quella offerta dalle università telematiche, ossia in larga misura dalla libera iniziativa. Chi studia grazie a queste nuove istituzioni (alcune delle quali, ormai, hanno dimensioni ragguardevoli e offrono corsi di ottimo livello) non deve sostenere i costi del trasferimento, né deve necessariamente rinunciare al lavoro. Quanti seguono i corsi on line, in effetti, possono studiare e lavorare al tempo stesso, dato che le registrazioni delle lezioni possono essere ascoltate la sera o nel fine settimana: e tutto ciò senza lasciare la propria abitazione e senza dover sopportare, quindi, gli oneri connessi al trasferimento. 

Purtroppo i giovani contestatori non colgono come la maggior parte dei problemi venga dall’interventismo pubblico: sono nutriti di pregiudizi e continuano a invocare lo Stato-mamma. Quando apriranno gli occhi forse le cose inizieranno a cambiare e a evolvere verso il meglio.

da La Provincia, 15 maggio 2023

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