Promuovere la lettura vietando gli sconti sui libri?

Purtroppo la tendenza del politico è sempre quella di pensare a un obiettivo visibile e di breve periodo

27 Febbraio 2019

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche Teoria e scienze sociali

Non bastano le buone intenzioni a fare le buone politiche. La legge sul limite agli sconti sul prezzo dei libri ne rappresenta un esempio lampante.

Nel 2011, la cd. legge Levi ha introdotto il divieto di applicare sconti superiori al 15% sul prezzo di copertina. L’obiettivo dichiarato era agevolare la diffusione della lettura, mantenendo e rafforzando contestualmente il pluralismo dell’offerta libraria. Il tetto agli sconti doveva servire ad impedire la temuta concorrenza da parte di poche, grandi librerie, specialmente quelle on line.

Le lacune della legge erano molteplici, a partire dalla possibilità di raggirarla attraverso l’apertura di un dominio internet in uno Stato straniero e dalla scarsa possibilità di effettivo controllo.

Ma se gli italiani non hanno preso a leggere più di prima, non è perché i controlli si sono dimostrati inefficaci e perché qualche impresa è riuscita a continuare a offrire volumi a prezzi scontati.

L’errore è di principio, e sta nel credere che le abitudini più private delle persone, come la scelta di leggere un libro anziché praticare uno sport o giocare a un videogioco, possano dipendere da quanto sconto viene applicato sul prezzo di copertina. Non solo, quindi, la legge non ha ottenuto gli esiti che i suoi estensori si proponevano, ma ha provocato effetti che non si volevano vedere, per affrontare i quali gli stessi esponenti politici che l’hanno voluta vogliono ora modificarla. La settimana scorsa è stata infatti unita una proposta di iniziativa parlamentare del PD a una analoga della Lega, che abbasserebbe, se approvata, il limite massimo di sconto dal 15 al 5%. I promotori si sono infatti accorti, come si legge nella relazione illustrativa della proposta, che con il vincolo attuale, pure pensato per proteggere librai e cartolibrai indipendenti, questi ultimi si vedono ridotto del 50% il margine sui testi di varia tipologia e del 100% su quelli scolastici. Di qui la necessità di provare a riparare il danno riducendo ulteriormente il margine di sconto.

Tutto questo andrà a vantaggio dell’abitudine della lettura? Basta cambiare una percentuale per mantenere aperte le librerie? Il divieto di sconto (perché la riduzione dello sconto massimo al 5% questo è) aiuterà il mercato dell’editoria diversamente da quanto non ha fatto il limite al 15%?

È difficile immaginarlo. Si può immaginare che i lettori italiani siano talmente pochi e talmente fedeli che gli sconti praticati da una libreria o dall’altra abbiano su di loro scarsa presa. Di certo resta difficile immaginare che il divieto di fare sconti possa indurre a comprare di più: l’acquirente di libri, come tutti, reagisce ai prezzi, e la politica di sconto, se è un modo per gonfiare i prezzi a monte, è anche un modo per far entrare più persone in libreria.

Purtroppo la tendenza del politico è sempre quella di pensare a un obiettivo visibile e di breve periodo: garantire il guadagno del librario. Ma se nelle librerie gli italiani non ci vanno, e quelli che ci vanno sono in media anziani, e i giovani comprano quel che decidono di leggere in altro modo, questo profitto stabilito per legge sarà nella migliore delle ipotesi un sollievo temporaneo. Il mondo cambia: rifiutarsi di vedere il cambiamento non basta a fermarlo.

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