Il rischio di un potere che impone il pensiero

Il potere non ci chiede soltanto di ubbidire ai comandi, ma ci vuole imporre di pensare tutti allo stesso modo

17 Maggio 2021

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Dopo aver subito la sospensione di molte libertà a seguito delle misure assunte per contrastare la pandemia, dobbiamo ora constatare che anche al di là delle norme introdotte contro il virus vari diritti un tempo fondamentali sono ormai sotto attacco e, in qualche caso, dissolti. Le cronache ci riportano episodi tra loro assai diversi, ma che in realtà hanno più di una connessione.

Un ragazzo di 18 anni che si rifiutava di indossare la mascherina a scuola, infatti, ha subito un Tso e di conseguenza è stato rinchiuso alcuni giorni in un reparto di psichiatria, dove gli è stato sottratto il cellulare e ha avuto pochissimi contatti con l’esterno. Qualche giorno dopo il professor Marco Gervasoni ha subito una perquisizione a casa sua ed è indagato per affermazioni riguardanti il presidente della Repubblica: si è insomma usato il reato di “vilipendio”, riformulazione della vecchia “lesa maestà”, per limitare il diritto di critica di un cittadino. E infine il professor Marco Bassani è stato addirittura sospeso dall’incarico universitario per avere semplicemente condiviso in Facebook un “meme” satirico, in lingua inglese, riportante fatti ben noti della carriera della vicepresidentessa degli Stati Uniti d’America.

Le libertà moderne sono nate dalla persuasione che le diverse ipotesi su Dio, sulla verità e sulla storia debbano essere espresse senza alcun limite. Come scriveva Baruch Spinoza nel suo Trattato teologico-politico, “in una libera comunità politica ciascuno deve avere libertà di pensiero e di espressione”. Per i padri della tolleranza è necessario rispettare le opinioni altrui e, al tempo stesso, sviluppare un’ampia competizione tra le tesi più diverse, come avviene nella scienza. Oggi, però, sta emergendo una cultura autoritaria che vuole predefinire i contenuti e le forme del dibattito.

Non soltanto in talune università vengono redatti nuovi dizionari che dettano le forme linguistiche da adottare per evitare censure (qualcuno sostiene, ad esempio, che si debba usare “avvocata” e non “avvocatessa”), ma si arriva addirittura a punire chi non accetta il nuovo conformismo ideologico. In questo anno che, con la fine del copyright, ha visto l’arrivo in libreria di molte ristampe dei lavori di George Orwell è necessario capire che la strada che conduce al totalitarismo è lastricata dal moltiplicarsi di regole e sanzioni che punisce proprio chi non accetta la “neolingua” di Stato.

Il principio fondamentale delle società libere, che distinguono tra pensiero e azione (ad esempio, tra la formulazione della teoria marxista e la pratica dell’esproprio proletario dei beni altrui), ormai è stato abbandonato. Sempre più il potere non ci chiede soltanto di ubbidire ai comandi, ma ci vuole imporre addirittura di pensare tutti allo stesso modo. Il fatto che a quel ragazzo marchigiano, reo di usare la sua testa, sia stato imposto un trattamento tanto inumano la dice lunga su come oggi sia necessario essere vigili. In tutti i sistemi oppressivi (dalla Russia alla Turchia) i dissidenti sono trattati da matti e gli intellettuali indipendenti vengono puniti. Contrastare tutto ciò è urgente e necessario.

Da La Provincia, 17 maggio 2021

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