Perché il Mes fa paura al governo

L'Italia è l'unico dei paesi dell'eurozona a non avere ratificato il meccanismo europeo di stabilità

1 Maggio 2023

Il Secolo XIX

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Politiche pubbliche

Chi ha paura del Mes, il meccanismo europeo di stabilità che l’Italia, unico tra gli Stati membri dell’eurozona, non ha ratificato e non sembra intenzionata a ratificare? La risposta breve è semplice: il trattato non passa perché le forze di maggioranza – in particolare Lega e Fratelli d’Italia – ma anche d’opposizione (il M5s) non vogliono. Ma la risposta lunga è molto più complessa e forse neppure soddisfacente: perché, di grazia, i maggiori partiti politici italiani hanno una posizione tanto dura? 

Per capire di cosa stiamo parlando è importante, anzitutto, ricostruire la storia del Mes. Tale organismo venne creato, all’indomani della crisi del debito sovrano, per soccorrere gli Stati in difficoltà finanziaria. A fronte della concessione di prestiti a paesi che hanno perso l’accesso al mercato, il Mes prevede la sottoscrizione di un piano di aggiustamento macroeconomico e riforme, con l’obiettivo di risanare il bilancio pubblico e far ripartire la crescita economica. Finora cinque Stati ne hanno usufruito: Cipro, Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo. Con la parziale eccezione della Grecia, tutti hanno raggiunto l’obiettivo di migliorare la propria condizione e riconquistare accesso al mercato. Non è un caso se nessuno di loro, neppure Atene, ha fatto storie né si è opposto alla riforma del Mes. 

La riforma nasce dall’esigenza di incorporare l’ex fondo salva-Stati all’interno dell’architettura istituzionale europea. Essa prevede anche una nuova funzione, cioè quello che in gergo si chiama freno di emergenza (backstop) per il Fondo di risoluzione unica. In concreto, il Mes potrebbe intervenire per arginare eventuali crisi bancarie, un tema particolarmente attuale all’indomani del collasso di Silicon Valley Bank negli Stati Uniti e di Credit Suisse in Svizzera. 

Come ha spiegato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, “le risorse finanziarie private a disposizione del Fondo potrebbero risultare insufficienti nel caso di una crisi sistemica… L’Italia è stata tra gli Stati membri più attivi nel sostenere fin dall’inizio la necessità di prevedere un backstop per il Fondo, in particolare coinvolgendo il Mes. La riforma di cui si sta ora discutendo introduce tale backstop”. 

Dare il via libera al Mes sarebbe anche funzionale a un’altra battaglia italiana: quella per una garanzia europea sui depositi bancari, a tutela dei correntisti. Non solo: ratificare il trattato non significa utilizzare i fondi del Mes, quindi, esporsi alle temute condizionalità. Questo accadrebbe solo in caso di estrema difficoltà e comunque è lasciato alla discrezionalità dei singoli Stati. Tant’è che, diversamente dai cinque citati, l’Italia per orgoglio nazionale e forse sbagliando dieci anni fa scelse di non avvalersene. 

C’è di più: le regole di funzionamento del Mes prevedono che qualunque decisione sia assunta all’unanimità dal Consiglio dei governatori (composto dai ministri delle Finanze degli Stati membri). Solo in casi eccezionali la maggioranza necessaria può scendere all’85 per cento del capitale sottoscritto. L’Italia, con una quota di poco inferiore al 18 per cento, esercita quindi un diritto di veto di fatto, al pari di Germania e Francia. In sostanza, non solo non c’è niente da temere dalla ratifica del Mes, ma c’è molto da preoccuparsi in caso contrario. L’Italia impedirebbe la creazione di una rete di salvataggio per le banche europee e lo farebbe per mero puntiglio politico: a oggi, il governo non ha spiegato cosa non va nel Mes e dunque cosa vorrebbe cambiare. E in ogni caso, questa situazione di isolamento rischia di relegare il nostro paese nel club degli inaffidabili, come ben sa il ministro Giancarlo Giorgetti costantemente tirato per la giacchetta dagli increduli colleghi europei. 

Qualcuno dice che si tratti di una posa negoziale il cui vero obiettivo è portare a casa un risultato su un altro tavolo, quello della revisione del patto di stabilità. Ma come si può pensare di spuntarla a suon di ricatti, senza costruire un dialogo con gli altri e soprattutto mettendo a repentaglio anni di lavoro che mai come oggi necessitano di essere portati a conclusione? 

La realtà è che l’esecutivo non ha il coraggio di appoggiare la riforma del Mes solo perché teme di non riuscire a spiegare ai suoi parlamentari ed elettori che, per tutti questi anni, sono stati presi in giro. E, naturalmente, teme il bombardamento del M5s che, avendo le mani libere, potrebbe continuare a farsi beffe dei cittadini agitando lo spettro del Mes. Nel passato, Giorgia Meloni ha dimostrato di essere in grado di interpretare in modo serio e responsabile il passaggio da leader dell’opposizione a capo del governo: lo ha fatto con le accise sui carburanti, con la rinuncia a tagliare le tasse senza prima razionalizzare le spese e lo sta dimostrando col Pnrr. Perché non riesce a convincere i suoi che, a volte, bisogna avere il coraggio di uscire dalla gabbia di semplificazioni e populismo in cui ci si è rinchiusi da soli?

da Il Secolo XIX, 30 aprile 2023

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