Uno dei principali motivi di forza e tenuta di questo governo si trova a via XX Settembre: la cautela con cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti amministra i conti pubblici e gli appetiti dei suoi colleghi di governo ha ridato credibilità anche internazionale alle finanze italiane. Anche questa è politica ed è anzi la migliore politica industriale che il nostro paese può chiedere. Si può fare di più? La risposta è, come sempre, dipende.
In termini assoluti, sicuramente sì. Anche la professoressa Elsa Fornero lamentava pochi giorni fa, dalle pagine di questo giornale, una manovra di bilancio incapace di definire priorità politiche e legava la questione delle priorità al futuro demografico. Un paio di esempi, in questo senso, di cosa si possa fare vengono questi giorni dalla Grecia e dalla Germania.
In Grecia, Paese che ha mostrato significativi segnali di recupero dalla crisi del debito anche attraverso una ripresa occupazionale ed economica significativa, il parlamento dovrebbe approvare questa settimana una legge proposta dal governo che renderebbe il mercato del lavoro più flessibile. Non si tratta di lavorare di più, ma di consentire di farlo.
La legge permetterebbe infatti, con molti limiti a tutela dei dipendenti, di aumentare le ore di straordinario fino a 13 ore al giorno per un massimo di tre giorni al mese, con una maggiorazione sullo stipendio ordinario del 40% e di andare in pensione addirittura a 74 anni.
In Germania, il cancelliere Merz ha proposto l’azzeramento delle imposte fino a 2.000 euro per i pensionati che continueranno a lavorare. Si tratta di un costo stimato di 890 milioni di euro di minori entrate, ma si ritiene che in tal modo tra i 280 e i 340 mila lavoratori potranno, se vorranno, continuare a lavorare, contribuendo ognuno per sé a un tentativo di ripresa dell’economia e al tempo stesso assecondando le dinamiche demografiche che vedono nella terza età una componente attiva e vitale della popolazione. Non tutti i pensionati hanno voglia di andare ai giardinetti e non c’è motivo per cui chi vuole ancora trasmettere e offrire la propria competenza e esperienza non debba farlo.
Le proposte greca e tedesca sembrano, per noi italiani, un buon esempio di visione, per due motivi.
Il primo è che sono entrambe su base volontaria. A nessuno viene chiesto un sacrificio diretto o un obbligo immediato, ma a chi si sente in animo di lavorare ancora o di lavorare di più vengono offerti, con molti limiti e cautele a tutela degli stessi lavoratori, una possibilità e una ragione in più, concreti e monetizzabili, per farlo.
Il secondo, e collegato al primo, è che in tal modo si potrebbe finalmente cambiare registro e vedere nel mercato del lavoro un luogo di collaborazione anziché di conflitto. Lavorare di più o più a lungo non è togliere lavoro ad altri, una sciocchezza, questa, che è stata detta molte volte e che ha esasperato un cattivo confronto tra generazioni, sulla base di presunte necessarie staffette generazionali.
C’è infine un terzo motivo che riguarda solo la proposta tedesca.
È chiaro che misure come queste abbiano un costo in termini di minor gettito fiscale. Ma è anche vero che esprimono un’inventiva politica diversa dalle solite proposte di aumento della spesa pubblica.
Va molto di moda chiedere, ad esempio, questa o quella politica industriale, cioè soldi, agevolazioni o sussidi a favore di qualcosa o di qualcuno. Dare la possibilità di lavorare qualche ora in più o un incentivo per non mettersi in panchina vuol dire invece agire in maniera neutrale e liberale su uno dei fattori di produttività dell’economia.
In termini assoluti, quindi, certo che il governo potrebbe fare di più. Basterebbero queste due piccole proposte per offrire qualche spunto su un terreno che la presidente Meloni sa essere cruciale: la demografia. Per esempio, potrebbero suggerirle un’idea equa e probabilmente meno costosa, ossia l’esenzione dei redditi dei pensionati dai contributi pensionistici.
In termini relativi, tuttavia, è chiaro che con proposte del genere lei e Giorgetti non se la dovrebbero vedere tanto con i sindacati, che anche in Grecia sono, come era prevedibile, sul piede di guerra, ma soprattutto con il loro principale alleato di governo, quella Lega che da anni vive anche dell’esasperazione del conflitto intergenerazionale.