“L’ondata di disinformazione e fake news a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, in Europa e nel mondo, rischia di indebolire il diritto a una corretta informazione, che è alla base dei principi di cittadinanza democratica”. Lo ha dichiarato il Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, alla conferenza stampa per il lancio dell’Osservatorio italiano dei Media Digitali. E ha aggiunto: “L’Italia ha partecipato attivamente alle discussioni, in ambito UE, che hanno portato all’adozione di piani d’azione sulla disinformazione e codici di condotta per le piattaforme digitali. È stato, inoltre, istituito un sistema di allerta rapida, teso ad agevolare la condivisione di dati fra Stati Membri e Istituzioni Ue e a segnalare le minacce in tempo reale”.
In astratto sembrano parole di buonsenso; in concreto nascondono, però, un pericolo. E’ vero che la disinformazione, sia quando viene diffusa ad arte sia quando si propaga in modo più o meno spontaneo, rappresenta una minaccia per la convivenza civile. Ma tale problema non può essere affrontato definendo una specie di “verità di Stato”, affidando a organismi governativi il compito di certificare la veridicità di quanto viene detto online.
Ci sono almeno tre questioni insuperabili. La prima riguarda il concetto stesso di verità: specie quando parliamo di nozioni scientifiche in divenire, non esiste – né può esistere – un modo di distinguere la verità “oltre ogni ragionevole dubbio”. Lo conferma la cacofonia degli esperti che, su qualunque tema, passano le giornate a contraddirsi reciprocamente in televisione. Perfino sulle questioni apparentemente semplici distinguere il vero dal falso può essere complesso: sulla base delle dichiarazioni dell’Oms nelle prime fasi della pandemia, per esempio, la “polizia anti fake news” avrebbe dovuto silenziare gli inviti a usare la mascherina, che invece si è rivelata il più efficace strumento di contenimento del contagio fino all’immissione in commercio dei vaccini. Secondariamente, consegnare le chiavi della verità a un potere centralizzato contiene sempre i semi del conflitto: è facile immaginare i propri governanti come saggi e illuminati meritevoli della nostra delega, ma cosa succede quando cambiano e al potere si trovano personaggi per i quali abbiamo disistima o timore? Chissà se gli stessi che oggi applaudono Di Maio si sentirebbero a proprio agio vedendo Matteo Salvini o Giorgia Meloni alla guida del ministero della Verità; e, beninteso, viceversa.
Infine, c’è una questione generale: la fake news più grande è che le fake news si diffondano solo (o prevalentemente) sulle piattaforme digitali. I social network possono certamente amplificare dei messaggi, ma lo stesso fanno i media tradizionali; e molte delle fake news che rimbalzano online trovano in verità spazio e attenzione sui quotidiani e le televisioni.
Insomma: è tremendamente riduttivo pensare di poter risolvere un problema così gigantesco concentrandosi sulla sola comunicazione online e dando ai governi poteri più o meno espliciti di intervento. Il controllo dell’informazione è uno dei fondamenti della società libera: e per questo è bene che sia il pluralismo, non il monopolio pubblico, a promuovere una discussione più ampia e informata.
21 settembre 2021